Quanto spazio per il terzo polo! Sì, ma c’è un però.

Gli ultimi due anni hanno segnato una evidentissima accelerazione di tutti i processi politici. Tale accelerazione ha costretto un po’ tutti i protagonisti a gettare la maschera.

Così nel PD prevale la vocazione vetero-assistenzialista. Ciò si riscontra non solo nell’evidenza delle alleanze elettorali che sono state salvaguardate, ma anche nei contenuti: la divisione del mondo in rosso e nero, in Berlinguer e Almirante (incredibile, credevo fosse un meme) e il dichiarato superamento del blairismo e della stagione del jobs act.

Nella destra, lo statalismo sovranista meloniano ha preso il totale sopravvento su ogni visione liberale. Prova ne sia l’atteggiamento nei confronti della cessione del carrozzone aereo ITA.

Questo quadro apre per la prima volta uno spazio davvero ragguardevole per una proposta liberale alternativa ai populismi di destra e sinistra, entrambi statalisti e assistenzialisti. Ne parlo nell’intervista che ho rilasciato a Radio Leopolda (clicca qui); ne scrivo nel pamphlet di approfondimento che ho pubblicato (clicca qui).

Tutto in discesa quindi per il terzo polo? Manco per niente.

Quali sono le bucce di banana su cui il terzo polo può scivolare? Sono sostanzialmente due: la visione e il posizionamento.

Il tema della visione è cruciale. Pensare che per proporre un’alternativa ai populismi, sia sufficiente il richiamo alla competenza è del tutto illusorio. Il nuovo tempo ha portato con sé nuove opportunità, ma anche nuovi bisogni esistenziali. Ad essi bisogna dare una risposta attraverso una narrazione di futuro alternativa a quella bi-populista. Bisogna mettersi al lavoro in tal senso. Un atteggiamento tecnocratico impedirebbe il decollo di una proposta liberale.

Il tema del posizionamento è più scivoloso perché si scontra con un atteggiamento nevrotico ampiamente diffuso nel terzo polo, tanto al vertice quanto, soprattutto, alla base. Tale atteggiamento nevrotico è sintetizzabile in un complesso e in una sindrome: il complesso della sinistra e la sindrome dell’ex.

L’insistenza con la quale ci si affanna a rassicurare i propri detrattori, “mai con la destra”, è sostanzialmente priva di senso per una forza liberale. Certo, si cercherà di far proseguire l’esperienza del Governo Draghi e, se non sarà possibile, si vedrà il da farsi, con le mani libere: opposizione? Può essere. Condizionamento in senso liberale di un governo di sinistra? Improbabile, ma in linea dai principio non escluso. Condizionamento in senso liberale di un governo di destra? Difficile, ma in linea di principio non escluso. Da cosa dipende? Dalle condizioni politiche che saranno date, non dalle dichiarazioni elettorali. Di certo, molto dipenderà da quanto nei due schieramenti di destra e sinistra saranno emarginate le posizioni di Salvini e Conte. 

Il  terzo polo deve in sostanza adottare un atteggiamento davvero equidistante da destra e sinistra. Facile? No, difficile. L’orientamento, tuttora presente, a rivendicare come “di sinistra” le misure del Governo Renzi, è figlio di quello che chiamo “complesso della sinistra” ed è privo di senso. Ma è così importante appiccicare l’etichetta “di sinistra” ad esempio al jobs act? Non basta il fatto la si ritenga una misura utile, equa e sostenibile? Questa difficoltà si riscontra insomma nel linguaggio, basti pensare al fatto che tuttora Renzi si rivolge al PD utilizzando l’espressione “compagni del PD”. Questa difficoltà si riscontra in generale nell’atteggiamento nei confronti del PD, un atteggiamento vittimistico e rivendicativo: “Non ci avete voluti! Avete posto il veto!” Ma il terzo polo nasce perché il sistema democratico italiano ne ha disperato bisogno o perché Letta ha poso il veto all’alleanza col PD? Dietro a questo atteggiamento c’è appunto la sindrome dell’ex: prima o poi ti farò capire che come me non c’è nessuno, allora cambierai e ci ameremo di nuovo. No, il PD è un partito di matrice catto-comunista che ha sempre considerato corpi estranei chi provasse a smarcarsi, si trattasse di Veltroni o di Renzi, non fa differenza. Il PD per il terzo polo è un avversario come un altro, nulla di più, nulla di diverso.

Il terzo polo non deve “diventare ciò che avrebbe dovuto essere il PD”. Il terzo polo deve rappresentare un’esperienza del tutto nuova e differente, tanto nella visione quanto nel posizionamento.

Se non riuscirà a scrollarsi di dosso il complesso della sinistra e la sindrome dell’ex, il terzo polo replicherà esperienze già vista, quelle delle anime belle della sinistra, si ridurrà a una riedizione di Più Europa e saprà rivolgersi solo agli elettori delusi dal PD.

Ma la missione del terzo polo non consiste nel cambiare il PD, consiste nel cambiare l’Italia e per fare questo deve sapersi rivolgere a tutti gli elettori e quando dico tutti, intendo proprio tutti. Mancano pochi giorni alla scadenza elettorale, un po’ di frittate sono fatte, ma qualcosa, in termini di posizionamento, si può forse ancora fare, magari dando più spazio alle figure provenienti da esperienze politiche disallineate, alludo in particolare all’eccellente Mara Carfagna.

Il giorno dopo le elezioni ci sarà una storia da scrivere. Bisognerà scriverla con nuove parole, adottando un nuovo linguaggio, con la leggiadria di chi ha scelto di liberarsi dei pesanti zaini del passato.

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