L’antifascismo ci serve ancora?

Lo so, si tratta di una domanda su una questione che rappresenta un tabù, ma è venuto il momento di porre il tema dell’uso strumentale della retorica antifascista.

Al video ci ragiono.

Centro politico e posizionamento

Un tempo il “centro politico” era rappresentato dalla Democrazia Cristiana. La DC si dichiarava equidistante da quelli che chiamava “opposti estremismi”.

Pur restando un partito di centro, scelse un’alleanza strategica a sinistra, coi socialisti a livello di governo, estesa ai comunisti a livello istituzionale. Le ragioni della scelta non furono di natura tattica, ma strategica, fondate su valutazioni geo-politiche e storico-politiche.

Oggi le forze che si richiamano al centro, si dichiarano equidistanti dai due populismi. Bene, ma qual é il loro posizionamento strategico? Quale asse di alleanze scelgono sul piano del governo e delle riforme istituzionali?

Le risposte a questi interrogativi sono vaghe e mutevoli. Vaghe perché il tema é considerato tabù, mutevoli perché fondate su ragioni tutte tattiche. Alcuni, colti dalla sindrome del grillo parlante, finiscono per rinunciare a fare politica e interpretano il ruolo di supponenti commentatori.

Le uniche che danno una risposta chiara (per quanto diverse l’una dall’altra) sono Forza Italia e Più Europa. Questo per me rappresenta un merito che le rende le uniche forze d’area votabili.

Prossimamente ragioneremo nello specifico sul tema del posizionamento: quali ragioni geo-politiche e storico-politiche inducono a quale posizionamento?

L’identità del partito che non c’è.

In uno scenario politico in cui destra e sinistra si assomigliano ogni giorno di più nella loro natura anti-impresa, statalista, assistenzialista e, sia pure in modi formalmente differenti, integralista, si capisce bene che un governo Conte III non rappresenterebbe di certo un miglioramento rispetto al governo Meloni I. Appare dunque sempre più urgente dare vita a un’alternativa al bi-populismo.

Bisogna però avere il coraggio di prendere atto che tale alternativa non può essere generata nell’ambito di un’area politica sostanzialmente costituita da ex-PD, strutturalmente caratterizzata da tutti i principali vizi della sinistra: liderismo, settarismo, correntismo, gusto per la polemica, culto della personalità, presunzione di superiorità. Sono vizi tipici della sinistra, ma sono ampiamente riscontrabili anche nei partiti che ambiscono a rappresentare il centro.

Questi vizi hanno generato nel tempo guerre intestine e conseguenti fratture e scissioni. La storia della sinistra è densa di testimonianze in tal senso: lo stesso Partito Comunista nasce, nel 1921, dalla scissione dal Partito Socialista di allora, scissione mai ricomposta, neppure a seguito della trasformazione del PCI in PDS, rimasto intimamente anti-socialista; anche i socialdemocratici nascono da una scissione, quella che vide, nel 1947, la corrente di Giuseppe Saragat separarsi dal Partito Socialista per costituire il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi Socialista Democratico; nel 1964, nasce il PSIUP, Partito Socialista di Unità proletaria, anch’esso da una scissione del Partito Socialista; nel 1969, prende vita il quotidiano Il Manifesto, iniziativa politica ad opera di un gruppo di dissidenti del PCI; nel 1972 nasce il PdUP, Partito di Unità Proletaria, generato dalla fusione di PSIUP e Alternativa Socialista, al quale aderiscono buona parte dei fondatori de Il Manifesto; nel 1991, contestualmente alla trasformazione del PCI in PDS, nasce il Partito della Rifondazione Comunista; nel 2002, su iniziativa dell’ex-radicale Francesco Rutelli, nasce La Margherita, che porta parte del mondo cattolico nell’alveo della sinistra; nel 2007, dalla fusione di Margherita e PDS, nasce il PD, coronando, sia pure in piccolo e casalingo, il sogno berlingueriano del “compromesso storico”; in ultimo, si arriva ai giorni nostri con le separazione di Bersani & C dal PD (Liberi e Uguali e Articolo Uno), poi, con quella di Italia Viva e Azione, rispettivamente da parte di Renzi e di Calenda.

La genesi dei partiti dell’area cosiddetta liberal-democratica viene da lì, da quella storia, non tanto ideologicamente, quanto dal punto di vista dello stile, dell’atteggiamento, del linguaggio. In fondo, il modo in cui i militanti di Italia Viva considerano e trattano fuoriusciti come Bonetti e Rosato, ricorda molto da vicino il trattamento che a suo tempo fu riservato a Matteo Renzi da parte dei militanti più oltranzisti del PD. I partiti dell’area del terzo polo, sono dunque antropologicamente ancorati alla storia della sinistra e di quella storia contengono tutti i vizi. Col fallimento del tentativo di dare vita al terzo polo, fallisce in effetti anche un’idea, l’idea che l’alternativa al bi-populismo possa derivare dalla cosiddetta sinistra riformista.

Qualcuno sollecita un’iniziativa “dal basso” che vada oltre le bizze dei leader, come se il tema fosse tutto personale e per nulla politico. Sono gli stessi che alla prima riunione del nuovo partito, ammesso e non concesso che possa nascere appunto dal basso, esorterebbero a “ripartire dai territori”. No, non è questione di caratteri troppo bizzosi né di territori poco presidiati, è invece necessaria l’iniziativa di un leader che sappia convogliare energie intorno a un’identità precisa e a una conseguente visione che scaldi i cuori, un leader che, alla fine della fiera, sappia riprendere in mano la visione innovatrice e la vocazione centrista che ispirarono la nascita di Forza Italia.

La costruzione dell’alternativa al bi-populismo presuppone infatti il coraggio di un nuovo posizionamento strategico, fattore non sufficiente, ma certamente necessario ai fini identitari. La risposta alla richiesta di un posizionamento convincente, si può esaurire con la parola “centro”? No. Nel secolo scorso, il centro era rappresentato dalla DC; qualcuno ha dei dubbi sul fatto che fosse un partito di centro? Non credo, eppure la DC, sulla base di una valutazione politica e geo-politica, prima che ideologica, scelse di dare vita a un asse strategico con le forze della sinistra, con i socialisti, in un’ottica di alleanza di governo, con gli stessi comunisti, in una più ampia ottica di garanzia dell’unità nazionale. Dirsi di centro, non esime dunque dalla necessità di definire un quadro di alleanze strategiche. E oggi, lo scenario politico e geo-politico che tipo di posizionamento suggerisce al cosiddetto centro? Le forze che si richiamano al centro non danno una risposta chiara, anzi non rispondono per nulla. Ciò, non a causa dei dubbi che li lacerano, no, a causa semmai del fatto che neppure si pongono il tema.

Il sistema democratico italiano non ha bisogno di tatticismi esasperati, ha bisogno di visioni strategiche inequivocabili, allo stesso modo il Paese non ha bisogno solo delle proposte ragionevoli da parte di chi si è auto-certificato “competente”, ha bisogno soprattutto di una svolta radicale, fondata su un nuovo patto costitutivo. La Carta nata dal consociativismo fra mondo cattolico e mondo comunista, ha avuto un ruolo decisivo ai fini di un equilibrato sviluppo del Paese dal dopoguerra agli anni ottanta, ma oggi non è più attuale nella sua seconda parte né, anzi tantomeno, nella prima. Da questo punto di vista, l’iniziativa politica di Calenda volta a dare vita a un fronte “repubblicano” a difesa della prima parte della Costituzione, appare del tutto inadeguata.

Quale quadro di alleanze può dare vita a un nuovo patto fondativo? Di certo non l’alleanza degli eredi delle forze che hanno dato vita alla Carta che siamo chiamati a superare. Occorre immaginare un altro quadro di alleanze, nel quale l’ispirazione liberale prevalga sulle pulsioni sovraniste e fascistoidi oggettivamente presenti nella destra italiana e sappia emarginarle.

Per dare vita a tutto ciò, è necessaria una leadership coraggiosa, nuova e fuori dagli schemi politici convenzionali, continuare a ostinarsi nel seguire le piccinerie tatticiste e rancorose degli attuali protagonisti che si auto-attribuiscono la rappresentanza esclusiva dell’area alternativa al bi-populismo, mi pare del tutto inutile, inefficace e in definitiva autolesionista.

Berlusconi, un gigante, la sua visione va rinnovata e portata a termine

Non ho mai amato i “né…né…” Non li ho amati che si trattasse di schierarsi con lo Stato o con le BR, con Israele o con Hamas, con Putin o con Zelensky. Allo stesso modo, oggi, non aderisco al paraculismo di chi di Berlusconi dice “né criminalizzare né santificare”. Il coraggio di prendere posizione deve caratterizzare gli innovatori del nostro tempo. Sì, ma ci sono luci e ombre. Ma davvero? E chi l’avrebbe mai detto? La commistione di luce e ombra non appartiene forse alla natura umana? Bando alle ciance, Silvio Berlusconi è stato il più grande innovatore della storia d’Italia. Certo, altri eminenti personaggi fanno parte a pieno titolo alla categoria, cito ad esempio Enrico Mattei e Adriano Olivetti, ma nessuno mai ha innovato così tanto i così tanti campi: l’edilizia, la finanza, la pubblicità, la comunicazione, lo sport, la politica. Un gigante. Senza alcun dubbio, un gigante. Un gigante dotato di un talento impareggiabile nel “far accadere le cose”.

Si tratta di una figura così influente, che la sua influenza in qualche modo perdura dopo la sua scomparsa e i primi sondaggi che danno Forza Italia in ascesa, sembrano confermarlo.

Che sarà di Forza Italia? Qualcuno pensa a un territorio da cannibalizzare: un pezzo a Meloni, un pezzo a Salvini, un pezzetto a Renzi. Io penso altrimenti, non penso a un territorio da cannibalizzare, penso a un’esperienza da valorizzare. 

Forza Italia nasce dalla felice intuizione intorno alla necessità di una svolta liberale nella storia d’Italia. La Repubblica Italiana nasce in un contesto geo-politico che, di fatto, obbliga a mettere allo stesso tavolo il mondo cattolico e il mondo comunista. La stessa impostazione della Carta Costituzionale deriva dalla necessità di coniugare il sentire di questi due mondi. Diciamolo, cattolici e comunisti hanno scoperto rapidamente di trovarsi piuttosto bene insieme e così, sulla base di compromessi condivisi e concessioni reciproche, le istituzioni repubblicane hanno preso vita, affermando nel tempo una cultura catto-comunista che ha permeato larga parte della società italiana. Intendiamoci, fu una scelta saggia e prudente, la migliore possibile per il tempo, scelta che ha anche garantito emancipazione e sviluppo. 

A partire dall’89, col mutare della condizioni geo-politiche, questa impostazione perde significato e Berlusconi, con l’iniziativa di Forza Italia, rappresenta un momento di discontinuità, ma la rivoluzione liberale che Egli annuncia, diciamolo, non ebbe luogo. Non ebbe luogo per svariate ragioni. Innanzitutto a causa della ferocia con cui gli apparati statali che hanno da sempre sguazzato in una democrazia bloccata, trattano gli innovatori. Lo fecero, prima, con Bettino Craxi, lo faranno, dopo, con Matteo Renzi. Una seconda ragione va ricercata nella ricattabilità a cui una figura con così tanti interessi è inevitabilmente soggetta. La terza ragione riguarda l’ostilità messa in campo da quel mondo catto-comunista che Egli intendeva superare, un mondo che non si fece problemi ad aderire alle più sfrenate pulsioni giustizialiste (già sperimentate con la vicenda di Craxi) elevando gente come Travaglio, Santoro e Vauro a veri e propri idoli, oggi diremmo “fortissimi punti di riferimento dei progressisti”. Il livello più basso e infame fu raggiunto quando la sinistra, vedendosi sottratto il tema giustizialista dai grillini, fece propri i più perversi impulsi moralistici con la vicenda Ruby: il bacchettonismo è in punto più basso raggiunto dalla sinistra italiana. Sta di fatto che i primi timidi tentativi di innovazione liberale fallirono: la riforma delle pensioni (che poi farà Monti), la riforma del lavoro (che poi farà Renzi) e la riforma delle Istituzioni (che poi tenterà Renzi), sono state impedite dalle più imponenti manifestazioni di piazza del dopoguerra. A causa di ciò, lo stesso Berlusconi si rese probabilmente conto del fatto che che gli italiani apprezzavano più la rivoluzione promessa, di quanto avrebbero apprezzato la rivoluzione realizzata.

E oggi? Oggi la necessità di una nuova fase non è più un’intuizione visionaria, è una necessità vitale. Per questo, oggi, va ripresa in mano l’ispirazione originaria di Forza Italia e questa volta la rivoluzione liberale non va solo annunciata, oggi è possibile realizzarla.

Chi può ambire a riprendere in mano quel filo? Chi può, forse, riuscire nell’impresa di rivitalizzare il mondo che ruota intorno a Forza Italia e che è molto più ampio del consenso elettorale che oggi ottiene?

Mi viene in mente un solo nome ed è quello di Matteo Renzi. Certo, ci vuole un coraggio da leoni, ma non gli manca, ci vuole una straordinaria abilità tattica e non gli manca neanche quella. Dovrebbe accettare che diversi militanti del suo attuale partito non digerirebbero volentieri una simile scelta, ma credo che Renzi stesso sappia che recidere finalmente il cordone ombelicale col mondo catto-comunista e liberarsi degli ultimi comunisti moderati o mancati, sarebbe un bene.

Fantapolitica? Non lo so, so che mi metto, speranzoso, in ascolto dei segnali e sosterrò chi lavorerà a un’iniziativa in tal senso.

L’umanista

Ormai da tre settimane ho iniziato a collaborare con Il Riformista. Ogni lunedì esce su ilriformista.it una mia pillola. La rubrica si chiama L’umanista e tratta temi di tipo esistenziale, quindi pre-politico.

Qui potete trovare le pillole della rubrica. La pagina ogni lunedì pomeriggio si aggiorna con la nuova pillola.

Sono molto contento perché penso che l’alternativa al bi-populismo debba nascere lontano dalle stanze chiuse dei comitati politici e dai caminetti dei tatticismi esasperati e Il Riformista potrebbe avere un ruolo significativo.

L’umanista

Terzo polo: cosa pensavo, cosa penso.

Il progetto del terzo polo è andato in vacca. I più indicano come fattore decisivo dell’ insuccesso, il carattere dei principali protagonisti, Renzi e Calenda. A mio giudizio, non è così: le ragioni sono riscontrabili nel tipo di processo che si è scelto di adottare per costruire il famigerato “partito unico”.

COSA PENSAVO

Quando iniziai a riflettere sul tema, era l’estate del 2022, e scrissi il pamphlet Bi-populismo, no grazie – manuale d’uso per la costruzione del terzo polo, indicai alcuni requisiti per una sana costruzione di un partito liberal-democratico. Eccoli, in estrema sintesi:

Scioglimento dei partiti promotori, prima di dare corso al processo

Passo indietro di entrambi i protagonisti (Renzi e Calenda) e spazio a volti nuovi

Comitato Costituente formato da personalità e intellettuali perlopiù esterni ai partiti di Azione e Italia Viva

Ampio coinvolgimento oltre il perimetro di Azione e Italia Viva.

Liberazione da ogni residuo di “complesso della sinistra” e “sindrome dell’ex (PD)”

Su questi punti, con un gruppo di amici, demmo vita a un’associazione che chiamammo Costituente Liberal-democratica, e rivolgemmo un appello a Renzi e Calenda. L’appello raccolse rapidamente un numero inatteso di sottoscrizioni, diverse centinaia, così ci accreditammo come soci fondatori di Libdem, l’associazione liberale ispirata da Giannino, De Nicola, Benedetto e Gozi.

Speravamo che Libdem facesse propria la nostra visione e condizionasse in tal senso il processo di costituzione del cosiddetto terzo polo. In effetti, non riuscimmo a portare la nostra visione in Libdem e me che meno Libdem condizionò il processo.

Quei cinque punti restarono lettera morta e il “partito unico” è rimasto una chimera. C’è un rapporto fra le due cose? Chi può dirlo, di certo io sono convinto di sì: in un nascente partito, frutto di accordi fra comitati chiusi e con un’identità sfumata, finiscono inevitabilmente per prevalere i personalismi, così, l’uno più abile che onesto, l’altro più ambizioso che abile, i due protagonisti sono diventati vittima di loro stessi e non si é fatto né il partito unico né il partito nuovo.

COSA PENSO

Quando un progetto non decolla, bisogna avere il coraggio di azzerare e ripartire: le toppe, normalmente, sono peggio del buco (che in questo caso è uno squarcio): bisogna ripartire da un foglio bianco. Come?

A mio giudizio sono ancora, e tanto più, attuali i paletti che ponemmo allora:

Ci vuole un partito nuovo, non un partito unico

Ci vogliono volti nuovi

Bisogna coinvolgere personalità e intellettuali provenienti da diversi ambiti e da diverse aree

Bisogna coinvolgere la più ampia parte di società civile, ben oltre il perimetro di Azione e Italia Viva

Non bisogna costruire il terzo polo, ma, semmai, l’altro polo, davvero alternativo al bi-populismo

Nel frattempo però sono successe delle cose: Giorgia Meloni ha stravinto le elezioni, ha costituito il suo governo, la Russia ha scatenato la guerra contro l’Ucraina.

Lo scenario che si è generato, suggerisce all’ipotetico nascente partito liberal-democratico un posizionamento più coraggioso. Non basta definirsi equidistanti da destra e sinistra, occorre comprendere che il Paese ha bisogno di una svolta, di una nuova fase, di un nuovo patto fondativo: bisogna mettere mano (questa volta davvero) alla seconda repubblica. E’ urgente riformare le istituzioni e ripensare la Costituzione, ovviamente nella sua seconda parte, ma, è ancor più cruciale, anche nella sua prima parte.

Chi può guidare questo processo rifondativo? Di certo non gli eredi dei costruttori della prima repubblica. Se si pensa che la seconda repubblica debba nascere da un’ispirazione liberale, allora la guida politica del processo deve essere presa dal nascente partito liberal-democratico, in alleanza con le forze di governo.

Eh, ma ci sono le elezioni europee. Sì, ci sono le elezioni europee, ma non ci sono gli elettori disposti a votare un accrocchio di gente che si odia, priva di un leader riconosciuto. Ormai avremmo dovuto impararlo: dai partiti nascono le liste elettorali, ma dalle liste elettorali non nascono i partiti.

E allora alle europee che si fa? I Libdem potranno indicare (e magari anche esprimere) candidati di valore nelle diverse liste. Non sarebbe la fine del mondo.

L’umanista

Con oggi inizio una collaborazione con Il Riformista. Ogni lunedì IlRiformista.it pubblicherà una mia pillola. La rubrica si chiama L’umanista.

Perché L’umanista? Perché tratterò temi filosofico-esistenziali in un’ottica pre-politica.

Ecco il link alla prima pillola, quella con cui inauguro la rubrica: vai a Il Riformista.

Coraggio terzo polo, rompi i tabù.

Il mondo é cambiato e le condizioni geopolitiche novecentesche da cui derivò la formula del centrosinistra italiano, sono oggi del tutto superate.

Le riforme istituzionali chiamano il terzo polo a rompere i vecchi tabù e a muoversi su un nuovo posizionamento.

Ne scrivo in questo pezzo pubblicato da Linkiesta.

Il terzo polo e il coraggio di ripartire da un foglio bianco

Il terzo polo di Italia Viva e Azione è finito per sempre. Qualcuno non ci aveva mai creduto davvero. Una storia finita male, ma cominciata anche peggio. Ora si apre un nuovo scenario, forse migliore.

L’esito al contempo drammatico e grottesco della vicenda del partito unico del terzo polo, conferma quanto tutti sanno, ma tanti hanno finto di ignorare: le liste elettorali nascono dai partiti, ma i partiti non nascono dalle liste elettorali. L’esperienza di Più Europa avrebbe pur dovuto insegnare qualcosa nel merito.

Occorre immaginare nuove vie, le riedizioni non possono portare ad alcunché di interessante: con tutto il rispetto per Marattin e Costa, io credo che il loro appello che tanti entusiasmi suscita, non abbia alcuna chance di riavvicinare i mondi di Azione e IV e, se mai riuscisse nell’intento, produrrebbe un’accozzaglia ancor più raccogliticcia della precedente. Questa è una storia finita male, ma cominciata anche peggio, una riedizione rappresenterebbe un dannoso accanimento. Ritengo che queste due sigle non possano ritrovarsi, neppure se “depurate” dei loro leader.

Solo ripartendo dal coraggio del “foglio bianco”, si può generare un nuovo scenario più sano, più innovativo e, speriamo, ricco di volti nuovi. Ciò, ricercando alleanze al di fuori dell’ormai angusta e polverosa cerchia di ex-PD ed ex-Radicali perché un nuovo partito non nasce dai politicismi dei comitati chiusi dei soliti noti, nasce dalla capacità di convogliare energie provenienti da diversi ambiti, promuovendo il confronto e la sintesi. 

Ci vorrà tempo? Sì. E’ proprio così imprescindibile presentare un’accozzaglia alle elezioni europee del 2024? No. Nel frattempo promuoviamo l’approfondimento e il confronto, al fine di delineare un’identità fondata su un posizionamento nuovo. Chi potranno essere gli attori? Non lo so, magari la forza delle cose ci proporrà una soluzione totalmente imprevedibile. Nel frattempo, di certo, seguirò con attenzione ciò che potrebbe nascere attorno a Il Riformista. Un’illusione? Probabile, ormai ci si è fatti il callo.

In questo articolo per Linkiesta, trovi un ragionamento più approfondito.