O-ne-stà sospesa per gli abusivisti

Luigi Di Maio ha rilasciato un’intervista al Corriere a sostegno di Giancarlo Cancellieri, il candidato “governatore” del M5S. Tra i punti fondamentali del programma per il cambiamento in Sicilia, sono messi in evidenza il reddito di cittadinanza (che ricorda le più vecchie e fallimentari pratiche assistenzialustiche), ma soprattutto l’impignorabilità della prima casa e la salvaguardia della casa per chi ha commesso il reato di abuso edilizio. 

La sostanza è che, secondo questa logica, chi commette il reato di abuso edilizio, lo fa “per necessità” e in fondo il reato non è commesso da lui, ma dalla “politica”. 

Sono convinto che ci sia un saldo rapporto tra la qualità della politica e la qualità della società. La retorica dei cittadini buoni e onesti contro i politici cattivi e disonesti, fa prendere dei voti, ma non rappresenta la realtà. Una qualunque riunione di una commissione parlamentare ha probabilmente più qualità di una media assemblea di condominio.  Il politico che chiude un occhio sulla costruzione di una casa abusiva, non è peggiore di chi la costruisce. 

Ma quale idea di legalità può ispirare l’accondiscendenza all’abusivismo? Ma davvero si può pensare di premiare chi urla in coro “o-ne-stà o-ne-stà” e poi propone di garantire gli abusivismi?

Insomma, il nuovo in Sicilia sarebbe rappresentato da assistenzialismo e connivenza. Davvero sorprendente. Non so come si stanno preparando alle elezioni siciliane le altre forze politiche. Forse faranno come a Roma: lasciamoli governare e si autosputtaneranno. Occhio però: anche il Re d’Italia, a suo tempo, disse, a proposito della marcia su Roma, “lasciamoli fare, sono innocui, vediamo cosa combinano”. Il fascismo 2.0 non va sottovalutato. 

Di Maio e Pertini

In un’intervista recentemente pubblicata su Repubbluca, il 5stelle Di Maio ha dichiarato di ispirarsi a Sandro Pertini. Ovviamente si tratta di cosa più che legittima e anche lodevole. 

A me sfugge però quale possa essere la natura dell’ispirazione procurata dal Presidente Pertin. Questo riferimento riporta però alla mia mente l’insopportabile retorica che si fa sul ruolo del Presidente della Repubblica. Secondo questa retorica, gli ultimi Presidenti del Consiglio (incaricati dal Presidente della Repubblica) non sarebbero stati “eletti dal popolo”. Di questo è stato accusato il Presidente Napolitano reo, secondo Di Maio, di aver incaricato dei “non eletti” alla formazione del governo. Ovviamente, il meno eletto tra i non eletti, sempre secondo Di Maio & C, sarebbe Matteo Renzi. 

La Costituzione italiana (per Di Maio intoccabile) prevede che, a seguito di elezioni o di crisi del governo, il Capo dello Stato incarichi una “personalità” di costituire una maggioranza parlamentare intorno a un programma al fine di formare un governo. Come è noto, la Costituzione prevede che si voti ogni cinque anni, non a ogni sbraito di questa o quella forza politica. Così, il Capo dello Stato ha l’obbligo di scongiurare elezioni anticipate cercando nuove soluzioni di governo in caso di crisi. 

Questo hanno normalmente fatto tutti i Capi di Stato della nostra Repubblica. Questo ha normalmente fatto Napolitano. Eppure, per aver normalmente applicato la Costituzione, il Presidente Napolitano è stato soprannominato da Di Maio & C. Re Giorgio. 

E Pertini? Ha incaricato figure elette dal popolo? Spadolini era stato indicato dal popolo? Craxi era stato indicato dal popolo? E De Mita? La staffetta tra Craxi e De Mita fu decisa dalle segreterie dei Partiti e Pertini, molto comprensibilmente, ne prese atto e decise di conseguenza. Eppure Pertini, dai vari Di Maio, non viene chiamato Re Sandro. Come mai?

Nomi sparati a caso per colpire l’immaginazione degli elettori. La qualità della politica di De Maio & C. è ormai un baratro. Secondo i sondaggi, costoro sarebbero il primo partito, come fu primo partito il Partito Fascista: ignoranza, volgarità e cultura del contro la fanno da padroni. 

Una rinnovata qualità di una rinnovata politica può fermare l’avanzata del fascismo 2.0? Bisogna provarci. Per l’Italia del per. 

Quanta retorica sui vitalizi!

Sembra la madre di tutte le battaglie. Si tratta invece una battaglia in gran parte retorica e probabilmente di dubbia costituzionalità.

Innanzitutto è bene ricordare come nasce l’istituto del vitalizio. Fu introdotto per garantire a deputati e senatori la sussistenza dopo l’esperienza parlamentare, in considerazione del fatto che avrebbero ragionevolmente abbandonato il loro lavoro o la loro professione per potersi dedicare all’attività parlamentare. Con ciò, si volle scongiurare che a occuparsi di politica potessero essere solo appartenenti a classi particolarmente abbienti. Indubbiamente la cosa ha un senso, non a caso simili protezioni si riscontrano in quasi tutte le democrazie evolute.

Oggi, nell’epoca dell’incertezza, tale protezione appare in effetti anacronistica. Non viviamo più all’insegna del “sistemarsi”, la cosa vale per tutti, deve valere anche per i parlamentari. Infatti, il Governo Monti li ha aboliti nel 2012. Si, ci si accapiglia per abolire un Istituto già abolito da anni: nessun parlamentare eletto a partire dal 2012 percepirà alcun vitalizio.

Ma allora di cosa si parla? La zuffa riguarda i vitalizi maturati prima del 2012. La legge passata alla Camera e in discussione al Senato, riguarda un ricalcolo su base perlopiù contributiva delle pensioni maturate prima del 2012. Insomma, di fatto, riguarda una forma di retroattività dell’abolizione del vitalizio con conseguente eliminazione di un “diritto acquisito”.

Ma le leggi italiane non possono avere valore retroattivo, proprio per salvaguardare i cosiddetti “diritti acquisiti”. Questa è la ragione per cui, ad esempio, la riforma del lavoro si applica solo sui nuovi contratti e non su quelli precedenti alla riforma stessa. Decidiamo di rinunciare al principio di salvaguardia dei diritti acquisiti? Io sarei anche d’accordo. Ma deve valere per tutti, non solo per i parlamentari. O no? In ogni caso vedremo, se passerà la legge anche al Senato, come si pronuncerà la Consulta in ordine alla costituzionalità (proprio per questa ragione, molto dubbia) della legge stessa.

C’è poi il tema del ricalcolo su base contributiva delle pensioni dei parlamentari. In linea di principio, è cosa giusta: la pensione deve essere proporzionata ai contributi versati e la sua entità non deve seguire altri calcoli astrusi e bizantinismi. Giusto. Ma, ancora una volta, questo principio deve valere solo per i parlamentari? Non sarebbe corretto ricalcolare su base contributiva tutte, dico tutte, le pensioni? Molti di quelli che oggi gridano il fatidico epiteto (vergogna!) ai parlamentari per la non corrispondenza tra i contributi versati e l’entità della pensione maturata, scoprirebbero di ricevere una pensione ben maggiore a quella che riceverebbero se calcolata su base contributiva. Sarebbe utilissimo che tutti rinunciassimo al “diritto acquisito” di una pensione superiore e non corrispondente ai contributi versati. Certo, ci sarebbero casi di pensioni così basse da non garantire la sopravvivenza. In questi casi dovrebbe intervenire lo Stato con un sussidio integrativo di sopravvivenza, ma almeno avremmo tutti la chiara percezione di quale pensione ci siamo guadagnati. E, forse, urleremo un po’ meno alla vergogna degli altri.

Perché un’Italia del per

Da troppo tempo il confronto politico si fonda sulla cultura del contro e le proposte politiche si incentrano sulla sconfitta del nemico.

Si tratta di un atteggiamento che affonda le sue radici in epoche lontane, addirittura nel ventennio fascista che non a caso si fondò sulla cultura del nemico.

Dopo la caduta del fascismo, la cultura del nemico, paradossalmente, si rafforzò, tanto da portare l’intellettuale Ennio Flaiano a pronunciare uno dei suoi più noti ed efficaci aforismi: in Italia ci sono due tipi di fascisti, i fascisti e gli antifascisti.

In effetti, dopo l’ANTIpolitica fascista, si impose il fronte ANTIfascista, composto dagli ANTIcapitalisti e dagli ANTIcomunisti: la cultura del contro, dell’anti, del nemico giurato, si impose su tutti i fronti. La teoria del nemico di classe indubbiamente ci mise il carico da novanta.

Questo stato di cose, con sfumature diverse, si propose di fatto fino alla fine degli anni ottanta quando a causa del crollo dell’impero comunista sovietico, anche il quadro politico italiano mutò, ma non cessò di dettare le scelte politiche quella cultura del contro che ormai si era sedimentata e che fino ad oggi è sembrata prevalere su tutto. Sessant’anni di cultura del contro lasciano il segno. Eccome se lasciano il segno.

Così, dopo la caduta del Muro di Berlino, gli italiani che si riconoscevano nell’area comunista si ritrovarono orfani di un’ideologia e di un nemico da battere: il mercato, i padroni e il capitalismo divennero nemici sempre più sfumati. Così, non potendo più porsi contro qualcosa, si è fatto strada l’orientamento a porsi contro qualcuno, una figura che incarnasse tutti i mali possibili, il nemico cattivo che comanda impedendo la felicità dei buoni: il nemico non è più il rappresentante di un blocco sociale, il portatore di un impianto ideale antagonista al proprio. No, il nemico è diventato la persona, il cattivo da demonizzare in ogni modo. Così fu la volta di Bettino Craxi, poi venne il turno di Silvio Berlusconi, infine quello di Matteo Renzi.

Questa concezione fascistoide della politica, secondo la quale il progresso e il benessere deriverebbero tout court dalla sconfitta del nemico, dei malvagi al potere, ha permeato la cultura politica italiana, finendo oggi per idealizzare il nemico in chiunque ricopra una posizione di “potere”: secondo costoro, chi può agire leve decisionali, è, per definizione, un malvagio, schiavo dei cosiddetti poteri forti.

Con sfumature e linguaggi diversi, aderiscono a questa concezione esponenti e forze che si richiamano a campi politici molto diversi e che, uniti dalla cultura del contro, rappresentano in effetti una “accozzaglia” portatrice di un atteggiamento politico che non esito a definire “fascismo 2.0”.

Con questo blog mi ripropongo di concorrere ad affermare una cultura politica fondata sul per, sulla proposta, sul miglioramento.