L’identità del partito che non c’è.

In uno scenario politico in cui destra e sinistra si assomigliano ogni giorno di più nella loro natura anti-impresa, statalista, assistenzialista e, sia pure in modi formalmente differenti, integralista, si capisce bene che un governo Conte III non rappresenterebbe di certo un miglioramento rispetto al governo Meloni I. Appare dunque sempre più urgente dare vita a un’alternativa al bi-populismo.

Bisogna però avere il coraggio di prendere atto che tale alternativa non può essere generata nell’ambito di un’area politica sostanzialmente costituita da ex-PD, strutturalmente caratterizzata da tutti i principali vizi della sinistra: liderismo, settarismo, correntismo, gusto per la polemica, culto della personalità, presunzione di superiorità. Sono vizi tipici della sinistra, ma sono ampiamente riscontrabili anche nei partiti che ambiscono a rappresentare il centro.

Questi vizi hanno generato nel tempo guerre intestine e conseguenti fratture e scissioni. La storia della sinistra è densa di testimonianze in tal senso: lo stesso Partito Comunista nasce, nel 1921, dalla scissione dal Partito Socialista di allora, scissione mai ricomposta, neppure a seguito della trasformazione del PCI in PDS, rimasto intimamente anti-socialista; anche i socialdemocratici nascono da una scissione, quella che vide, nel 1947, la corrente di Giuseppe Saragat separarsi dal Partito Socialista per costituire il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi Socialista Democratico; nel 1964, nasce il PSIUP, Partito Socialista di Unità proletaria, anch’esso da una scissione del Partito Socialista; nel 1969, prende vita il quotidiano Il Manifesto, iniziativa politica ad opera di un gruppo di dissidenti del PCI; nel 1972 nasce il PdUP, Partito di Unità Proletaria, generato dalla fusione di PSIUP e Alternativa Socialista, al quale aderiscono buona parte dei fondatori de Il Manifesto; nel 1991, contestualmente alla trasformazione del PCI in PDS, nasce il Partito della Rifondazione Comunista; nel 2002, su iniziativa dell’ex-radicale Francesco Rutelli, nasce La Margherita, che porta parte del mondo cattolico nell’alveo della sinistra; nel 2007, dalla fusione di Margherita e PDS, nasce il PD, coronando, sia pure in piccolo e casalingo, il sogno berlingueriano del “compromesso storico”; in ultimo, si arriva ai giorni nostri con le separazione di Bersani & C dal PD (Liberi e Uguali e Articolo Uno), poi, con quella di Italia Viva e Azione, rispettivamente da parte di Renzi e di Calenda.

La genesi dei partiti dell’area cosiddetta liberal-democratica viene da lì, da quella storia, non tanto ideologicamente, quanto dal punto di vista dello stile, dell’atteggiamento, del linguaggio. In fondo, il modo in cui i militanti di Italia Viva considerano e trattano fuoriusciti come Bonetti e Rosato, ricorda molto da vicino il trattamento che a suo tempo fu riservato a Matteo Renzi da parte dei militanti più oltranzisti del PD. I partiti dell’area del terzo polo, sono dunque antropologicamente ancorati alla storia della sinistra e di quella storia contengono tutti i vizi. Col fallimento del tentativo di dare vita al terzo polo, fallisce in effetti anche un’idea, l’idea che l’alternativa al bi-populismo possa derivare dalla cosiddetta sinistra riformista.

Qualcuno sollecita un’iniziativa “dal basso” che vada oltre le bizze dei leader, come se il tema fosse tutto personale e per nulla politico. Sono gli stessi che alla prima riunione del nuovo partito, ammesso e non concesso che possa nascere appunto dal basso, esorterebbero a “ripartire dai territori”. No, non è questione di caratteri troppo bizzosi né di territori poco presidiati, è invece necessaria l’iniziativa di un leader che sappia convogliare energie intorno a un’identità precisa e a una conseguente visione che scaldi i cuori, un leader che, alla fine della fiera, sappia riprendere in mano la visione innovatrice e la vocazione centrista che ispirarono la nascita di Forza Italia.

La costruzione dell’alternativa al bi-populismo presuppone infatti il coraggio di un nuovo posizionamento strategico, fattore non sufficiente, ma certamente necessario ai fini identitari. La risposta alla richiesta di un posizionamento convincente, si può esaurire con la parola “centro”? No. Nel secolo scorso, il centro era rappresentato dalla DC; qualcuno ha dei dubbi sul fatto che fosse un partito di centro? Non credo, eppure la DC, sulla base di una valutazione politica e geo-politica, prima che ideologica, scelse di dare vita a un asse strategico con le forze della sinistra, con i socialisti, in un’ottica di alleanza di governo, con gli stessi comunisti, in una più ampia ottica di garanzia dell’unità nazionale. Dirsi di centro, non esime dunque dalla necessità di definire un quadro di alleanze strategiche. E oggi, lo scenario politico e geo-politico che tipo di posizionamento suggerisce al cosiddetto centro? Le forze che si richiamano al centro non danno una risposta chiara, anzi non rispondono per nulla. Ciò, non a causa dei dubbi che li lacerano, no, a causa semmai del fatto che neppure si pongono il tema.

Il sistema democratico italiano non ha bisogno di tatticismi esasperati, ha bisogno di visioni strategiche inequivocabili, allo stesso modo il Paese non ha bisogno solo delle proposte ragionevoli da parte di chi si è auto-certificato “competente”, ha bisogno soprattutto di una svolta radicale, fondata su un nuovo patto costitutivo. La Carta nata dal consociativismo fra mondo cattolico e mondo comunista, ha avuto un ruolo decisivo ai fini di un equilibrato sviluppo del Paese dal dopoguerra agli anni ottanta, ma oggi non è più attuale nella sua seconda parte né, anzi tantomeno, nella prima. Da questo punto di vista, l’iniziativa politica di Calenda volta a dare vita a un fronte “repubblicano” a difesa della prima parte della Costituzione, appare del tutto inadeguata.

Quale quadro di alleanze può dare vita a un nuovo patto fondativo? Di certo non l’alleanza degli eredi delle forze che hanno dato vita alla Carta che siamo chiamati a superare. Occorre immaginare un altro quadro di alleanze, nel quale l’ispirazione liberale prevalga sulle pulsioni sovraniste e fascistoidi oggettivamente presenti nella destra italiana e sappia emarginarle.

Per dare vita a tutto ciò, è necessaria una leadership coraggiosa, nuova e fuori dagli schemi politici convenzionali, continuare a ostinarsi nel seguire le piccinerie tatticiste e rancorose degli attuali protagonisti che si auto-attribuiscono la rappresentanza esclusiva dell’area alternativa al bi-populismo, mi pare del tutto inutile, inefficace e in definitiva autolesionista.

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