Terzo polo. Il coraggio di un partito davvero nuovo.

Terzo polo. Renzi ha fatto un passo indietro. E Calenda? Non sarebbe il caso che facesse altrettanto? Si dice “prima i contenuti, poi i leader”, ma il leader impatta sull’identità e sui contenuti, non é un portavoce dell’assemblea. Un partito davvero nuovo vuole volti nuovi, vuole una nuova leadership.

Ma basta? No, ci vuole il coraggio di scelte radicali. In che senso? Ne scrivo su Linkiesta. CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO.

Migranti, la trappola del terzo polo

L’elezione di Schlein alla segreteria del PD, ha portato entusiasmo fra tanti terzopolisti. Perché? Perché sono convinti che ora, finalmente, si sia aperto lo spazio, le famose praterie, per l’affermazione di una sinistra riformista. Costoro pensano che questo serva al Paese e che questo, fondamentalmente, debba essere il terzo polo. La gran parte di loro sono ex-PD che considerano questa presunta riscossa della sinistra riformista, alla stregua di una rivincita.

Così fra loro torna di moda l’idea di rappresentare in fondo la vera sinistra, quella riformista appunto, ma torna di moda anche quella cultura del nemico, incentrata sul “pensiero contro”, tanto cara alla sinistra. Il nemico oggi é Meloni. Così, alla faccia dell’equidistanza, ci si riscopre pasdaran e pasionarie e si sfila entusiasti a Firenze nel tripudio di bandiere rosse. Così la questione dei migranti, diventa il nuovo pretesto che fa da collante del nuovo “anti”, l’antimelonismo. Con il suo intervento, nel quale sfoggia un’arte oratoria meritevole di menzione, arte che nobilita un Parlamento normalmente un po’ sciatto, Renzi lancia un messaggio politico: la questione dei migranti é la battaglia di una “sinistra umanitaria” che può fare breccia nel PD di Shlein e spalancare le porte di accesso alle famose praterie.

In realtà, la questione dei migranti, con destra e sinistra c’entra nulla: semmai la libera circolazione delle merci e delle persone é un principio liberale, non socialista, così come i veri esperti di muri sono in effetti i regimi comunisti. Guardiamo in Europa. Il governo di centro-destra di Merkel non si é certo distinto per chiusura sul tema dell’immigrazione. Allo stesso modo, il governo socialista di Zapatero (ricordate lo spettacolo di Sabina Guzzanti, Viva Zapatero?) non si certo distinto per apertura sul tema. Ricordiamo le parole del Ministro Corbacho: “Saremo inflessibili con gli illegali: sono cambiate le circostanze e bisogna capirlo. Non perseguitiamo i clandestini, ma l’immigrazione deve essere legale e regolare. Se no si danneggia lo stesso immigrato, che non arriverà mai ad avere diritti. Non è che perché una clandestina sia incinta deve avere il diritto alla regolarizzazione e a non essere espulsa. Mi dispiace, ma se così fosse ci sarebbero donne che si farebbero mettere incinte apposta”.

Il tema dell’immigrazione é un tema trasversale sul quale ricercare una soluzione bipartisan, soluzione che, lo sanno tutti, non può che essere volta a contrastare trafficanti e scafisti e favorire i canali legali. Per fare ciò, é necessario un poderoso sforzo diplomatico straordinario che può avere successo solo se condotto sul piano europeo. Tale sforzo diplomatico deve essere associato a un efficace piano volto a una pacifica e proficua integrazione. Se no, si riesce a fare al massimo ciò che fece nel 2018 il Ministro Minniti: contrastare le ong e favorire il lager libici. Certo che si riduce il flusso, ma a che prezzo? Ricordiamo le parole di Renzi al riguardo: “Se oggi gli sbarchi sono quello che sono (diminuiti drasticamente ndr), il Partito democratico non ha alcuna remora a dire grazie al ministro dell’Interno e al governo per il lavoro straordinario che è stato fatto”.

Ma invece che lavorare a una soluzione bipartisan, si contrappongono slogan: da un lato si promette di spezzare le reni agli scafisti, dall’altro si continua a pensare che la soluzione consista nel posizionare le ong ai confini delle acque territoriali libiche a raccattare naufraghi da portare in Italia e mettere davanti a una Coop a chiedere l’elemosina.

Ha ragione Renzi, il terzo polo deve spezzare il tifo da curve dello stadio, ma per farlo, non deve sventolare il valore dell’umanità, valore ovviamente di per sé condivisibile, ma in effetti vuoto perché non discriminante: qualcuno teorizza forse che bisogna essere disumani? Diciamolo, é un po’ come il valore dell’onestà di grillina memoria, anch’esso ovviamente condivisibile in astratto, ma vuoto perché non discriminante: qualcuno teorizza che sia giusto essere disonesti? Non c’è bisogno della sinistra umanitaria, c’è bisogno di soluzioni, esse sì difficili perché, esse sì, segnano inevitabili discrimini. Il terzo polo pensi a come condizionare in senso liberale l’azione (più che sgangherata) del governo, non a come creare il collante ideologico contro il nuovo nemico.

Se i migranti finiranno per essere il pretesto per affermare la “sinistra umanitaria” e conquistare così parte dell’elettorato pd, posizionando il terzo polo nell’area della sinistra riformista, esso si ritaglierà uno spazio (una piccola radura, non le praterie), ma si auto-condannerà a una sostanziale irrilevanza.

Orrendo antifascismo

Non sopporto più la retorica dell’antifascismo. Chi sono gli antifascisti? Come si comportano?

Sono figlio di un Partigiano. Nome di battaglia: Mino. Combatté sulle alture dell’entroterra del levante ligure. Della sua esperienza partigiana, racconta in un delizioso librino, Quaderno di un Partigiano, che scrisse qualche tempo fa, ormai quasi ottuagenario. Dopo la liberazione l’ANPI di Genova lo guardò con sospetto in quanto di famiglia socialista e non propenso ad accettare il falso storico secondo cui i partigiani erano perlopiù comunisti e l’egemonia che ne derivava. Fu etichettato come social-fascista e cacciato dall’ANPI. Così si comportarono con lui gli antifascisti.

Mia mamma fu profuga istriana. Per fuggire alle foibe dei partigiani del maresciallo Tito, adolescente, lasciò la sua terra coi genitori, approdando a Genova dove appunto conobbe mio padre. Di famiglia sinceramente e saldamente democratica, visse con l’etichetta di “fascista” in quanto profuga istriana. Così si comportarono con lei gli antifascisti.

Durante la mia giovinezza , studente di sinistra, sono stato testimone dell’antifascismo militante: molte teste spaccate e diverse persone uccise, ma “il compagno Tito ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non é reato”. Così ho visto comportarsi gli antifascisti.

Oggi nelle università e non solo, da molti é considerato normalissimo (o comunque comprensibile) impedire a personalità di destra di parlare e agli studenti di destra di manifestare. Nessuno muove un dito. Ma se c’é una scazzottata dove le vittime sono di sinistra, allora si mette su il can can. Così si comportano, oggi, gli antifascisti.

Appena governa qualcuno senza l’appoggio della sinistra, sia Berlusconi o sia Meloni, si grida al pericolo fascista e l’urgenza diventa defascistizzare, un po’ come (mi si passi l’ardito parallelismo) per Putin é urgente denazificare. Così si comportano gli antifascisti.

Ogni 24 marzo si onorano le vittime delle Fosse Ardeatine ad opera dei soldati nazisti. Allo stesso modo, ogni 10 febbraio si onorano le vittime delle foibe ad opera dei partigiani comunisti slavi. La prima ricorrenza è considerata sacra e, giustamente, nessuno può permettersi di discuterla. La seconda ricorrenza è invece tuttora accompagnata da una grandinata di distinguo, j’accuse, richieste di “contestualizzazione”, “si, ma” e “si però”. Così si comportano gli antifascisti.

Ma è davvero così difficile onorare senza se e senza ma ogni 24 marzo le vittime delle Fosse Ardeatine e ogni 10 febbraio le vittime delle foibe? È davvero così difficile condannare gli orrori prodotti dal fascismo e dal comunismo? Sì, in Italia è difficile: se ti definisci anti-comunista, sotto sotto, inevitabilmente, sei un po’ fascista. Sì perché in fondo, secondo molti antifascisti, il comunismo sarebbe anche una buona idea, é che é stata applicata male, quindi i regimi comunisti in realtà cosa sono? Ma sono fascisti, ca va sans dir. Per questo Bellanova, in rappresentanza di Italia Viva, partecipa alla manifestazione di Firenze nel tripudio di bandiere rosse “contro ogni fascismo”. Così si comportano gli antifascisti.

L’ossessione nei confronti del nemico e l’identificazione degli avversari politici col nemico, é fondamento di ogni totalitarismo. Per questo sostengo che l’atteggiamento politico con cui si pratica l’antifascismo, é di stampo totalitario.

Per chi bazzica il cosiddetto terzo polo, é venuto il momento di definirsi “democratici e liberali”, quindi, per definizione, distanti da “ogni totalitarismo” e rompere con questo uso orrendo dell’antifascismo.

La tentazione (mortale) dei terzopolisti: rifondare il centrosinistra

Dopo la vittoria di Schlein alle primarie del PD, nel terzo polo tanti vorrebbero “rifondare il centrosinistra” e diventare ciò che “avrebbe dovuto essere il PD”.

Si parla di “praterie”, parola che porta una sfiga pazzesca, di transfughi da accogliere, come se non ci fossero già abbastanza ex-PD fra i dirigenti del terzo polo.

Semmai é necessario fare il contrario e smetterla di fare le anime serie e competenti della sinistra riformista, visione presuntuosa, vecchia e pure antipatica.

Questo atteggiamento da corrente esterna del PD, rappresenta ormai una perversione da consegnare agli studiosi delle nuove patologie psichiche.

Purtroppo, quantomeno a giudicare da ciò che si legge sui social, sono vittima di questa patologia tanti militanti del terzo polo (specie di Italia Viva), ma, purtroppo, anche diversi dirigenti.

Se prevalesse questa opzione, il terzo polo si auto-condannerebbe alla sicura irrilevanza.

Per scongiurare questa triste deriva, può essere molto importante il ruolo di un’associazione di ispirazione autenticamente liberale come LDE nella costruzione del partito cosiddetto unico ed é almeno altrettanto strategico il coinvolgimento di figure (tante) estranee agli steccati dei partiti fondatori.

Staremo a vedere. La buccia di banana é ben disposta sul pavimento.

La vittoria di Schlein e l’illusione dei terzopolisti

Elly Schlein vince le primarie e diventa leader del PD. Molti terzopolisti esultano: si apre una prateria! Altri esortano: riformisti del PD venite con noi! Altri profetizzano: la Schlein consegna a Renzi le chiavi di un centrosinistra riformista da rifondare!

In realtà la vittoria di Schlein ci segnala che il PD, davvero e definitivamente, appartiene al polo bi-populista. Impone quindi di procedere con rinnovato impegno alla generazione di una proposta alternativa al bi-populismo. Tale proposta deve inevitabilmente essere trasversale rispetto allo schema destra/sinistra, quindi equidistante rispetto a destra e sinistra.

Eppure permane nel terzo polo l’idea malsana che l’alternativa al populismo sia rappresentata dalla “sinistra riformista”, visione vecchia e miope. Così si spiega l’entusiasmo con cui si accoglie la vittoria di Schlein.

Se il cosiddetto partito unico del terzo polo, rappresenterà la sommatoria di Italia Viva, Azione, pezzi del PD e magari Più Europa, l’alternativa al bi-populismo sarà morta sul nascere.

Meloni, il Berlusca e gli elettori di Calenda

Meloni é la mia Presidente. Non l’ho votata, ma lo dico convintamente. In campagna elettorale ci si può confrontare aspramente, poi chi conquista la maggioranza e ha la responsabilità del governo, va sostenuto anche se non é dei “tuoi”. Io la penso così. La penso così in un Paese dove, invece, l’eroe é necessariamente all’opposizione e più si oppone e più é eroico. L’opposizione in Italia festeggia quando cade un Governo della Repubblica e si va a elezioni anticipate. Ma cosa c’è da festeggiare? La minoranza dovrebbe sostenere con sguardo critico e magari, talora, condizionare l’azione di governo. Per quanto mi riguarda, avrei apprezzato una partecipazione al Governo da parte del terzo polo, con l’intento di condizionarne in senso liberale le politiche.

Non riservo questo atteggiamento alla sola Meloni. Ad esempio, anche nel lontano ‘94 dissi “Berlusconi é il mio Presidente” pur non avendolo votato, quando Berlusconi stravinse le elezioni e diede vita al suo primo Governo. Per me l’iniziativa politica di Berlusconi, con tutte le sue contraddizioni, ha generato un avanzamento del sistema democratico italiano. Ha squadernato il quadro ed é caduta un bel po’ di polvere. Personaggio dalle straordinarie capacità realizzative e comunicative, mosso da visioni non banali, oggi ha totalmente perduto appeal. Il pugile suonato che si ritira, gode di tutti gli onori, ma se continua a salire sul ring si copre di ridicolo. L’iniziativa volta a far cadere il Governo Draghi, prima, e le dichiarazioni putiniane, ora, fanno di Berlusconi, oggi, il peggiore.

Calenda ci spiega che gli elettori non hanno sempre ragione. Carlo, lo sapevamo già. Confermare questa ovvietà, non serve. La vera domanda é: questa ovvietà la usi come alibi o con questa ovvietà ci fai umilmente i conti? Sembra che Calenda abbia scelto la prima via, aggregandosi così alla litania lagnosa e snobistica di certa parte della sinistra secondo la quale gli italiani non meriterebbero il suffragio universale. No, gli italiani, che non sono certo un popolo speciale, meritano il suffragio universale come lo merita qualunque popolo. Ma bisogna meritarsi anche il voto e per meritarselo occorre proporre una narrazione di presente e una visione di futuro con un linguaggio convincente. “Siamo i competenti e io ho lavorato alla Ferrari”, non basta. Proprio non basta.

Per battere il populismo di destra, non basta l’opposizione, ci vuole un’alternativa, oggi lontana dall’affermarsi. Il ruolo del terzo polo.

L’esito delle recenti elezioni regionali ci dice che, nonostante il governo proceda ad alti (pochi) e bassi (tanti), l’elettorato percepisce la presenza di un’opposizione, ma non la proposta di un’alternativa. Ci dice anche che in questo momento il populismo di destra è preferito al populismo di sinistra.

Il sistema democratico italiano ha dunque bisogno di una credibile alternativa che oggi non si rivela agli occhi degli elettori. Essa potrà disvelarsi solo quando si comprenderà che la contraddizione destra/sinistra è insita nel fronte bi-populista e che un’alternativa coerente coi paradigmi 4.0 non può che porsi trasversalmente rispetto ai vecchi steccati.

Chi può lavorare a questa ipotesi? Non di certo chi continua a proporre il proprio posizionamento adottando lo schema destra/sinistra, né chi, più o meno palesemente, sposa la causa populista. L’unica forza che potrebbe esercitare questo ruolo è il cosiddetto terzo polo

Anche per questo qualcuno sperava in un suo exploit, exploit che di certo non si è verificato, anzi. Come mai? La risposta a questo interrogativo ci può essere ispirata osservando il comportamento dei militanti e sostenitori terzopolisti. Quantomeno a giudicare da ciò che scrivono sui social, sembra che molti fra loro non facciano altro che rimpiangere i bei tempi del PD renziano e rimproverare il suo superamento ad opera delle leadership che lo hanno succeduto. Non parlano d’altro che del PD, come quegli innamorati che dicono peste e corna dell’ex, ma, sotto sotto, vorrebbero redimerlo e ricominciare. Probabilmente pensano che il PD sia “una buona idea applicata male”, come tanti pensano, maldestramente, del comunismo. No, il PD non è una buona idea applicata male, era e resta una pessima idea, un’idea fondata sul connubio anti-socialista fra post-comunisti e post- democristianidisinistra. Non poteva che derivarne ciò che ne è derivato: un partito catto-comunista. Chi ha provato a stravolgerne l’identità, particolarmente Matteo Renzi, ha commesso un errore di valutazione politica e di velleitarismo personale: non è vero che, dopo renzi, il PD è cambiato, il PD è tornato ad essere ciò che è sempre stato. Oggi il PD ritrova le sue radici catto-comuniste e, dal suo punto di vista, fa bene a liberarsi delle “scorie del renzismo”: il renzismo non gli é mai appartenuto. 

Eppure tanti terzopilisti non lo comprendono e continuano a rivolgersi alla pletora dei “riformisti del PD”, i vari Gori per intenderci, come se volessero ricostruire il “vero PD” fuori dal PD. Il terzo polo non ha bisogno di altri ex-PD. O si ha la forza di andare oltre, di guardare altrove, di superare questa sindrome dell’ex, o per il terzo polo non c’è futuro.

Vabbè, ma questo tema riguarda la base, i leader sono consapevoli di questa necessità. Davvero? A me non pare proprio e la dimostrazione di ciò è tutta nelle parole che Matteo Renzi ha pronunciato a ridosso delle elezioni regionali: “Nel Pd avevano me e Carlo Calenda che parlavamo di lavoro con industria 4.0 e jobs act, ora hanno gente che dice che bisogna recuperare Lenin, Speranza che dice che bisogna abbattere il neoliberismo. Avevano una Ferrari e l’hanno scambiata con una Twingo”. Non é vero, non é così: il PD non ha mai “avuto” Renzi e Calenda, li ha tollerati malvolentieri perché consentivano di prendere voti al centro, ma in effetti sono sempre stati considerati corpi estranei. Ha dunque ragione Cuperlo quando, rispondendo a Renzi, dice: “La Ferrari non era di nostra proprietà ma ce l’aveva data in leasing la destra. La Twingo la stiamo pagando a rate ma è nostra!”.

Anche la scelta di allearsi col PD in Lazio va inquadrata in quest’ottica: il tatticismo ha prevalso sulla ricerca di identità e posizionamento coerente. Oggi il terzo polo non è equidistante da destra e sinistra: con la sinistra si può alleare, con la destra, di fatto, no, quindi non si può definire “di centro” né “oltre” lo schema destra/sinistra. Esso persevera, di fatto, nel proporre una politica fondata sulla convinzione che l’alternativa al populismo passi attraverso la “redenzione” della sinistra e il ripudio dell’alleanza coi populisti grillini, come se non fosse proprio la cultura politica della sinistra il principale fattore generativo del populismo grillino. Le patetiche ripicche fra i dirigenti terzopolisti e i dirigenti dem sulle responsabilità della disfatta, raccontano del perseverare terzopolista in questo equivoco di fondo.

Affinché il terzo polo possa svolgere il ruolo che gli competerebbe, quello di generare un’alternativa al bi-populismo, Azione e Italia Viva sono quindi chiamati ad andare oltre la loro stessa genesi di ex-PD. L’alternativa non può emergere dentro gli angusti steccati dei partitini che attualmente appartengono all’area del terzo polo: non serve un “partito unico” con due o tre o quattro gambe, serve un “partito nuovo”, davvero nuovo: nuovo posizionamento, nuova organizzazione, nuova leadership. 

Si tratta di una possibilità realistica? A me non pare, ma a volte, si sa, i processi storici procedono indipendentemente dalle volontà dei leader che, in fondo, possono solo accelerarli o rallentarli. Pietro Nenni la chiamava “forza delle cose”. Speriamo che le cose siano davvero abbastanza forti .

Moratti, il PD e il posizionamento del terzo polo

L’altro polo: una buona affermazione dei riformisti alle regionali in Lombardia può cambiare il quadro politico nazionale. Letizia Moratti non dovrebbe presentarsi come la candidata di un centro più o meno liberale, ma come la candidata capace di sventare la minaccia bipopulista di Fontana e Majorino. QUI ne scrivo su Linkiesta.

La svolta l’indietro del PD e il salto in avanti del terzo polo. La convinzione talora sottaciuta, che l’unica alternativa possibile al populismo sia rappresentata dal fronte della sinistra riformista, porta a immaginare il PD come unico possibile alleato e costringe a impostare la strategia del terzo polo sul tentativo di redimere i Democratici e liberarli dal mortale abbraccio grillino. Si tratta di una strategia miope e perdente. QUI ne scrivo su Strade.