La vicenda ucraina mi aveva fatto pensare a un’accelerazione dei processi politici, così la fermezza della posizione di Letta e la tardiva, ma altrettanto ferma presa di posizione da parte di Berlusconi mi avevano illuso: sarà forse venuto il momento di uno smarcamento dai rispettivi populismi? Avevo anche proposto una sorta di petizione in tal senso.
No, a quanto pare nessuno smarcamento.
In particolare il Berlusca, per l’ennesima volta, ha tradito le aspettative: prima ti fa intravedere orizzonti inesplorati, poi ti ributta da un momento all’altro nella fanghiglia. In fondo il suo stesso progetto politico è colorato in questo modo: la frontiera di una rivoluzione liberale trasformata in una battaglia per la sopravvivenza.
Certo, l’infame persecuzione giudiziaria ai suoi danni ci ha messo del suo, così come l’ostracismo ideologico di un ritrovato fronte di sinistra, all’epoca guidato da Travaglio. Ma questi due elementi oggettivi non bastano per spiegare il fallimento dell’azione di governo berlusconiana. Essa deriva in gran parte dalla propensione al ricatto paralizzante da parte dell’apparentemente irriformabile apparato statale, ma anche dalla propensione di Silvio a rendersi ricattabile. Una propensione sfacciata e perversa, in fondo ingenua, come la vicenda delle “olgettine” evidenzia.
Il disillusore seriale ha colpito oltre la sua stessa azione di governo, mandando in vacca prima la famigerata commissione bicamerale voluta da D’Alema volta a riformare lo Stato, poi il referendum voluto da Renzi. In coerenza con l’ilarità del personaggio, il suo comportamento ricorda la gag di chi simula di stringere la mano e la sfila sghignazzando all’ultimo momento.
Ho sperato che la fase finale della sua esperienza politica gli consigliasse un gesto nobile e coraggioso, un riposizionamento al centro, ma così non è stato, ancora una volta a causa della sua ricattabilità. Temo che nelle allegre scampagnate moscovite, il nostro abbia usato con l’ex capo del kgb la stessa prudenza e riposto la stessa fiducia usata e riposta nei confronti di Emilio Fede.
Veniamo a Letta, l’altro leader che mi aveva illuso intorno al suo possibile smarcamento dal populismo, in questo caso grillino e comunistoide. Qui il caso è più semplice, si tratta di condizionamento ideologico, nulla più: il “campo largo contro le destre” sembra essere l’unico possibile e misero orizzonte.
La via sarà dunque un’altra. Qualcun’altro dovrà farsi protagonista di un’azione politica volta a convogliare in una proposta alternativa ai populismi, risorse ed energie trasversali ai campi politici. Chi? Non ne ho idea, o meglio, un’idea la avrei, ma preferisco tenerla per me, ben sapendo che sarebbe accolta a benevole pernacchie.