La guerra russa in ucraina e il dibattito che ne è derivato, ha messo in evidenza un fenomeno fino a ieri colto ed esplorato solo da una nicchia di intellettuali, ma oggi sulla bocca di tanti: il rossobrunismo.
Di fronte a questo fenomeno, i più strabuzzano gli occhi allibiti e stupefatti, come se non fosse del tutto naturale che vi siano somiglianze e affinità fra diverse forme di totalitarismo.
Un ragionamento serio sul tema, deve prendere le mosse da una distinzione fra due diverse dimensioni, quella autoritaria e quella totalitaria. Tutti i regimi totalitari sono inevitabilmente autoritari, ma non tutti i regimi autoritari sono anche totalitari.
L’archetipo di regime autoritario è il regime militare di stampo fascista, così come lo abbiamo conosciuto in Europa e America Latina. Questo tipo di regime ha due caratteristiche di fondo: genera consenso attraverso la retorica nazionalista e reprime ogni forma di dissenso. La conservazione del potere sembra essere l’unica ragione di vita di questi regimi, che, infatti, esaurito lo stratagemma nazionalista e privi di una visione, normalmente finiscono per implodere.
I regimi totalitari, contrariamente a quelli “semplicemente” autoritari, sono mossi da una forte visione, incentrata sull’idea di liberare l’uomo (niente meno), attraverso una “purificazione totalizzante”. Si tratta di una visione ideologica, pre-politica, di stampo morale, quindi “universale”. La “purificazione” non può essere limitata a un Paese e non può che realizzarsi su scala mondiale. Per questa ragione, i regimi totalitari hanno normalmente un connotato bellico che va oltre l’imperialismo, verso la vera e propria “conquista del mondo”.
I regimi totalitari moderni più emblematici sono quello nazista, quello comunista e quello islamista. Il fattore comune riguarda appunto l’intento di purificare il mondo. Purificare da cosa? Nel caso dei regimi nazisti, dalle razze geneticamente e antropologicamente meschine; nel caso dei regimi comunisti, dagli sporchi interessi della borghesia; nel caso dei regimi islamisti, dall’immondo stile di vita degli infedeli. Per quanto il “fattore di purificazione” sia diverso, la radice esistenziale è comune e si esprime in modo violento, moralistico, integralista, totalizzante.
Ovviamente, un regime totalitario, per affermare la propria ideologia, non può non essere autoritario, in fondo, non può non esercitare il potere in stile fascista. Basterebbe già questo per comprendere le ragioni del rossobrunismo, ma c’è di più. I regimi totalitari non sono solo simili fra loro, ma godono da sempre di un’attrazione reciproca. I regimi islamisti furono stretti amici di Hitler, d’altronde lo stesso tiranno tedesco, leader del Partito Nazional Socialista dei Lavoratori, era ossessivamente attratto dalla figura di Stalin e l’alleanza che fu stipulata fra i due non fu, come una certa narrazione vuole raccontare, un giochino tattico ad opera di Stalin in cui Hitler cadde come un allocco, fu un’alleanza fra totalitarismi amici e la spartizione “amichevole” della Polonia ne fu ampia testimonianza. L’amicizia non si ruppe certo per ragioni ideologiche, ma a causa della competizione imperialista di conquista del mondo. Insomma, da sempre, i totalitarismi (nazista e comunista in primis) si somigliano e si fondano su un’indole comune fatta di visione purificatrice e pratica fascistoide, un’indole quindi rossobruna.
A questo punto del ragionamento, salta sempre su qualcuno che propone la tesi secondo cui le ragioni del nazismo sarebbero abiette mentre quelle del comunismo sarebbero nobili e che, in fondo, il comunismo sarebbe “una buona idea applicata male”. Vediamo questi due punti.
Primo punto, la moralità delle ragioni. Ma davvero qualcuno pensa che eliminare (o rieducare in un qualche campo) una persona colpevole di essere nata in una famiglia ebrea, sia così diverso da eliminare (o rieducare in un qualche campo) una persona colpevole di essere nata in una famiglia borghese? Ed è così diverso da eliminare (o rieducare in un qualche campo) una persona colpevole di essere nata in una famiglia cristiana? A me pare che questi interrogativi retorici bastino e avanzino per scardinare la tesi della “diversa moralità”.
Secondo punto, una buona idea applicata male. Quando sento argomentare questa tesi (l’ultima occasione mi fu recentemente data da Achille Occhetto, ospite di Propaganda Live), l’unica cosa di cui ho certezza è che chi la argomenta non conosce (o finge di non conoscere) la dottrina comunista. Non pretendo mica che si sia letto Il Capitale, un tomo mica da ridere, ma neanche Stato e Rivoluzione o Che Fare?, ma no, chiedo che si sia almeno data un’occhiata a Il Manifesto del Partito Comunista, il “bignami” scritto a quattro mani da Marx e Engels. Basta avergli dato un’occhiata per rendersi conto di come i regimi comunisti, particolarmente quello sovietico e quello cinese, abbiano applicato alla lettera la dottrina marxiana. Secondo Marx, infatti, per schiudere le porte alla liberazione dell’uomo, quindi al comunismo, occorre passare attraverso la fase del “socialismo” (termine che assumerà nel tempo un significato tutto diverso), cioè della “dittatura del proletariato”, volta a neutralizzare definitivamente la borghesia. Questo è stato fatto in Unione Sovietica e in Cina, nulla di più, nulla di diverso.
Ma a questo punto, normalmente, qualcuno eccepisce ancora: eh ma l’esperienza del comunismo in Unione Sovietica in realtà ha avuto il suo epilogo con lo stalinismo. Questa è davvero la madre di tutte le bufale e voglio argomentare le ragioni di questo mio convincimento.
La Rivoluzione d’Ottobre ha avuto luogo nel 1917. Stalin salì al potere nel 1924, soli sette anni dopo l’instaurazione del regime. Egli applicò alla lettera la dottrina marxiana. Nel 1929 la borghesia fu tagliata fuori da ogni interesse economico, grazie alla statalizzazione forzata dell’agricoltura. Altrettanto si fece nel ben meno diffuso comparto industriale.
Col passare degli anni, Stalin, dimostrando ineccepibile onestà intellettuale, si pose però una questione: come mai, nonostante l’eliminazione forzata della borghesia, gli individui non si dimostrano pronti alla loro “liberazione”? Come mai cresce semmai il dissenso? Coma mai non osserviamo il dipanarsi delle condizioni per superare la fase del socialismo (dittatura del proletariato) verso l’instaurazione del comunismo? Come mai non ci sono le condizioni per rendere sempre più leggero lo Stato e “mettere a capo del governo una cuoca” (per dirla con Lenin) e anzi dobbiamo sempre più mordere i freni? Stalin si interrogò lungamente, ma, onore alla coerenza, non fu mai colto dal dubbio che la dottrina marxiana fosse una vaccata, così a partire dalla seconda metà degli anni ’30, esattamente vent’anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, Stalin si convinse che ciò dipendesse dal fatto che la borghesia, scaltra e malvagia, si fosse infiltrata nel Partito, contaminandolo. Così prendono inizio le famigerate purghe staliniane che, perlopiù nell’ombra, hanno portato all’eliminazione di centinaia di migliaia di “nemici del popolo”.
Nonostante le purghe volte a moralizzare il Partito, le condizioni per il naturale evolvere verso il comunismo, erano lontanissime dal manifestarsi, così a metà degli anni ’50, Kruscev, successore di Stalin, ne denuncia i crimini. Con Kruscev si assiste alla definitiva rinuncia di ogni velleità marxiana e il regime sovietico diventa un regime autoritario a economia pianificata, in sostanza un regime rossobruno. Nel tempo l’economia pianificata lascerà spazio a una borghesia potentissima, accettata e favorita purché amica del governo, sublimando così il rossobrunismo.
E in Cina? In Cina è successa la stessa identica cosa. Anche Mao, infatti, esattamente vent’anni dopo la Rivoluzione Cinese, si pone gli stessi quesiti di Stalin e anche Mao si convince della stessa risposta: la borghesia si è infiltrata nel Partito. Mao, intellettualmente più raffinato di Stalin (che comunque non era un coglione), non si affidò a sicari in impermeabile armati di piccone, ma favorì l’insorgere di una nuova generazione comunista, protagonista di quella azione che nel ‘68 Mao battezzerà come Rivoluzione Culturale, così orde di giovani “grillini” cinesi moralizzarono il Partito attraverso la messa alla berlina dei migliori dirigenti, funzionari e militanti, col risultato di decine di migliaia di internati e giustiziati. Anche la Cina, dopo il fallimento della moralizzazione del Partito, è stata di fatto demaoizzata, ma in modo più ipocrita rispetto alla destalinizzazione: la demaoizzazione è stata proposta, con la messa alla berlina della “banda dei quattro”, all’insegna di un maoismo, mai formalmente rinnegato. Sta di fatto che anche il regime cinese ha successivamente assunto la struttura di un regime autoritario fascistoide con elementi di economia pianificata e una borghesia amica del governo, un altro regime rossobruno.
Insomma il rossobrunismo non è un fenomeno inspiegabile, trova anzi una limpida corrispondenza sul piano ideologico e storico.
Ma il vero rossobruno non si accontenta di un regime ibrido perché egli non è mosso da un’indole semplicemente autoritaria, no, il vero rossobruno è mosso da un’indole totalitaria ed è per questo che prova un’irresistibile attrazione per Putin. Già perché Putin, al contrario dei reggenti cinesi, si fa portatore di una crociata universale, denuncia i crimini dell’occidente, addita i costumi imbelli del consumismo, nega il valore della globalizzazione e propone quindi una sua forma di purificazione del mondo, vera libidine di ogni indole totalitaria.
Il rossobrunismo è dunque un effetto di processi storici riscontrabili e trova terreno fertile fra chi ambisce a purificare il mondo: saputelli comunisti, moralisti grillini, oscurantisti religiosi. Parteggiano per forze apparentemente distanti fra loro, ma appartengono allo stesso fronte, il fronte rossobruno, appunto.