Quest’anno la Leopolda renziana si è svolta in un momento tutto speciale. Forse mai come oggi, infatti, Renzi è stato sottoposto a un attacco concentrico mediatico-giudiziario.
Si tratta di un metodo già visto in passato, prima con Craxi, poi con Berlusconi: taluni magistrati passano sottobanco la notizia dell’indagine, taluni giornalisti la trasformano in notizia di reato certo, taluni opinionisti costruiscono il mostro, taluni politici hanno finalmente un nemico che regala loro l’illusione di un’identità.
La destra contro la sinistra? La sinistra contro la destra? No, contro Craxi non si scagliò solo certa destra, anche e soprattutto certa sinistra; contro Berlusconi non si scagliò solo certa sinistra, anche il mondo grillino e leghista; anche contro Renzi si scagliano oggi un po’ tutti. Ancora una volta, il discrimine è tra chi vuole innovare e chi teme l’innovazione ed è un discrimine certamente trasversale rispetto allo schema destra-sinistra.
Niente di nuovo.
Si tratta di una modalità efficacissima. Basta andare a leggere i commenti su Twitter all’hashtag della Leopolda o i commenti su Facebook al video, pubblicato da Il Fatto Quotidiano, dell’intervento di Maria Elena Boschi, per rendersi conto della valanga di rancore che questo metodo è capace di generare.
Certo, questa situazione avrebbe potuto finalmente suggerire un definitivo e inequivocabile riposizionamento e l’adozione di un nuovo linguaggio da parte di Italia Viva. Invece no.
Il tema del linguaggio è centrale. La narrazione populista affonda le sue radici nella cultura della destra sociale, ma anche (soprattutto) della sinistra ed è quindi trasversale. Anche una narrazione alternativa, quindi, non può che essere trasversale. Per questa ragione, termini che fanno riferimento al paradigma destra-sinistra non servono più. È il caso di un polveroso termine come “riformista”, così anni ottanta: ma perché, il Reddito di Cittadinanza e Quota 100 non sono forse riforme? E la flat tax non sarebbe forse una riforma? Dov’è il discrimine? Una forza davvero alternativa al “bipopulismo” deve elaborare una narrazione trasversale utilizzando un linguaggio nuovo.
Alla Leopolda 11 questo posizionamento e linguaggio nuovo non si sono visti né sentiti.
Da questo punto di vista, è del tutto emblematico il modo in cui Renzi ha presentato il Sindaco di Genova Marco Bucci, ospite della kermesse.
Cito testualmente.
“Di un’altra famiglia politica”. Ah, quindi Italia Viva a quale famiglia politica appartiene? A quella del centro-sinistra? Bene, basta dirlo, basta saperlo.
“Ha vinto contro i nostri”. Eh sì, Bucci vinse contro gli orgogliosamente comunisti Crivello e Doria. I nostri.
“Ci ha sconfitti”. Nel 2017 Italia Viva non esisteva. Che senso ha dire “ci ha sconfitti”? Ah già, prima di essere di Italia Viva, ci si sente ex-PD.
Ma perché Bucci merita una presentazione così diversa rispetto a Sala, definito “storico amico”?
Perché sotto sotto, c’è poco da fare, Italia Viva continua a recitare la parte dell’anima critica del PD.
Del resto, Ettore Rosato, tra gli applausi entusiasti degli astanti, lo ha detto a chiare lettere: abbiamo fondato il centro sinistra, siamo di centrosinistra, il vero centro-sinistra siamo noi.
Non c’è mica niente di male eh, ognuno sceglie il posizionamento che ritiene. Per me questo posizionamento è sbagliato perché figlio di una lettura vecchia della realtà, inutile perché non funzionale ai bisogni del sistema democratico italiano, perdente perché risponde più ai bisogni esistenziali degli ex-PD delusi e incattiviti che non a quelli degli “elettori ibridi” che caratterizzano il nostro tempo.
Pensavo che in epoca di manganelli giudiziari, si sarebbe fatto uno sforzo maggiore, ma non è stato così.
Certo, il tema giudiziario è stato trattato con coraggio. Ma se oggi si dice (giustamente) che non spetta alla Magistratura decidere le forme della politica, ieri, e a maggior ragione, in occasione della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, si sarebbe dovuto dire che non spetta alla Magistratura decidere se una scelta di governo corrisponde a un reato ordinario (in quel caso sequestro di persona). E invece no, nella vicenda di Salvini, incriminato per una scelta politica del Governo di cui faceva parte, Renzi si lasciò andare alla più povera delle retoriche: ci si difende nei processi, non dai processi. No, ci si difende anche dai processi se, come nel caso di Salvini ieri e di Renzi oggi, appaiono persecutori. Se si avesse avuto più coraggio ieri, si avrebbe più credibilità oggi. E di quel coraggio ci sarebbe stato bisogno. L’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini costituisce un precedente che sarebbe pericolosissimo se non fosse addirittura grottesco. Praticamente in qualunque scelta di governo si può riscontrare un’ipotesi di reato: rispetto a talune scelte sulla gestione della pandemia, non potrebbe qualche magistrato riscontrare l’ipotesi di omicidio colposo? Ogni tanto penso che l’ultimo sussulto di dignità della politica nel rapporto con la Magistratura, si ebbe in occasione della (temporanea) negazione dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi da parte del Parlamento.
In fondo, lo stesso atteggiamento Italia Viva lo paga rispetto alla vicenda del DDL Zan. Certo che la proposta formulata alla Leopolda di estensione della legge Mancino è valida, ma perché formularla solo oggi? Perché si è sostenuto e votato il DDL Zan? Perché si continua a dire che una legge imperfetta è meglio di niente? La legge perfetta sarebbe il DDL Zan, un’accozzaglia di slogan carichi d’odio spacciata per legge volta all’inclusione?
Anche su questo, un diverso atteggiamento di ieri, avrebbe dato più credibilità all’atteggiamento di oggi, ma Italia Viva arriva sempre dopo, perché non riesce a liberarsi del “siamo il vero centrosinistra riformista” e, infondo, “bisogna battere le destre”.
Tra non molto, si giocherà la partita del Quirinale. In ogni caso la giocherà anche Draghi, anche quando se ne tirasse fuori. Vedremo se da lì si potrà intravedere qualcosa di nuovo. Non credo.