L’alternativa al populismo? Distante e distinta dal PD.

Le scelte vieppiù sciagurate del governo gialloverde, richiedono ormai urgentemente la costituzione di una credibile alternativa. Non sto parlando di “opposizione”, non credo che la gara a chi si dimostra più “contro” possa produrre qualcosa di buono, no, alludo all’elaborazione di una alternativa proposta su due piani: la formulazione di differenti soluzioni programmatiche, ma soprattutto una diversa e alternativa narrazione della realtà e della prospettiva futura.

L’assenza di una cultura politica effettivamente alternativa a quella pentaleghista, genera un crescente interesse intorno al dibattito sulle primarie del PD. Si, perché qualcuno, non io, ritiene che da lì, magari affermandosi questo o quel candidato, possa derivare l’alternativa alle proposte e alla narrazione gialloverde.

Zingaretti e Minniti sembrano essere i candidati con maggiori chance di successo. Entrambi dichiarano di voler costruire l’alternativa al pentaleghismo “rifondando la sinistra”, cosa che, in un mondo in cui la contraddizione destra/sinistra è via via divenuta sempre più secondaria, appare del tutto inadeguata e antica. Il vecchio che diventa vintage ha anche il suo fascino, ma in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa che sta invecchiando molto male.

Si dice che Zingaretti sia più incline al dialogo coi cinquestelle, ma egli nega. Mi pare che rappresenti quella voce del PD che esorta a “tornare tra la gente” abbandonando il “verticismo”. Si tratta di una risposta puerile alla narrazione pentaleghista: il “gentismo” di Zingaretti, non rappresenta un’alternativa al populismo, è, semmai, un populismo di serie B, un populismo privo di una narrazione attraente.

Minniti ha un linguaggio è un profilo più lineari e comprensibili. Egli rappresenta la continuità col pensiero della componente comunista del PD. La sua identità si dipana molto chiaramente ascoltando il suo intervento alla Festa Regionale del PD Emiliano del 2018. Il passaggio più emblematico riguarda il parallelismo tra l’attuale governo e l’esperienza di governo del cosiddetto penta-partito. Il penta-partito fu la formula di centro-sinistra, fondata sull’asse DC-PSI, arricchita dalle forze laiche minori, che consentì la governabilità dell’Italia negli anni ottanta. Quella formula portò al primo Governo Italiano del dopoguerra a guida non democristiana (Governo Spadolini) ed anche al primo Governo a guida socialista (Governo Craxi). Si tratta di un’esperienza di governo decennale che va inserita a pieno titolo in quella prospettiva politica del Centro-Sinistra che ha consentito al nostro Paese di traguardare obiettivi sociali avanzati, pur nel quadro di un’egemonia democristiana. In particolare il PSI lavorava affinché si creassero in Italia le condizioni di una democrazia dell’alternanza. Per fare ciò occorreva o un riequilibrio del rapporto di forza tra PSI e PCI, quella che Craxi Chiamava “onda lunga”, in linea con quanto accadeva nel resto d’Europa, oppure una trasformazione del PCI in senso socialdemocratico, cosa che Craxi non riteneva troppo realistica. Sta di fatto che il penta-partito garantì governabilità, progresso e un rilevante ruolo internazionale dell’Italia, ciò mentre il PCI proponeva sul piano interno la formula della “solidarietà nazionale”, passata alla storia come compromesso storico, cioè un’allenza tra DC e PCI che impedisse la transizione verso la democrazia dell’alternanza e sul piano internazionale la formula dell’eurocomunismo con i comunisti francesi e spagnoli. Riguardando quel tempo con sguardo “storico”, la posizione comunista appare a dir poco miope. Minniti allude all’esperienza di penta-partito, parlando dell’attuale Governo; ecco cosa dice: io temo che noi avremo una prosecuzione di una cosa che già nella prima repubblica c’era stata quando ci fu una lunga fase della vicenda politica italiana in cui dominò il cosiddetto penta-partito; il penta-partito era fatto da partiti che litigavano in continuazione e tuttavia si mettevano d’accordo sulla spartizione del potere; la sensazione che io ho è che noi abbiamo di fronte un penta-partito nazional-populista. Insomma sembra che Minniti, con il linguaggio che gli è abituale, quello dello zelante funzionario comunista, non solo non riconsideri le sue passate posizioni che la Storia ha ampiamente dimostrato inadeguate, ma le voglia riproporre oggi in salsa antipopulista. Si tratta di un’acrobazia intellettuale disgustosa, degna di chi, pur di rivendicare la sua appartenenza, è disposto a sostenere qualunque tesi.

Zingaretti mi pare personaggio di certo folklore, ma sostanzialmente privo di contenuti, mentre Minniti altro non è che un lugubre figuro. Affidare a costoro l’elaborazione di una narrazione alternativa a quella pentaleghista, significa determinare lo scenario più sciagurato: il bipolarismo fittizio tra Lega e Cinque Stelle. Urge qualcosa di diverso, distinto e distante dal PD. Subito.

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