La cultura del nemico appartiene da sempre alla prassi politica italiana. Essa affonda le sue radici in tempi lontani e ha progressivamente consolidato l’idea che il politico coraggioso e davvero dalla parte della gente, debba innanzitutto porsi “contro” i presunti responsabili del disagio sociale. La cultura del nemico ha conseguentemente determinato il linguaggio dell’anti: per essere credibili, bisogna innanzitutto essere anti-qualcosa o anti-qualcuno.
La stessa proposta fascista si impose con la cultura del contro e il linguaggio dell’anti. D’altro canto, anche la rinascita democratica si ispirò all’anti, in quel caso all’antifascismo. Poi venne il tempo della DC e della sua “diga anticomunista”, venne il tempo dell’anticraxismo, dell’antiberlusconismo, dell’antirenzismo. Chi é più contro, la sa più lunga: questo sembra animare la politica italiana e gli stessi elettori.
Così le campagne elettorali degli ultimi decenni si sono svolte all’insegna della demonizzazione dell’avversario: si é maggiormente indicato cosa di terribile sarebbe successo se avesse vinto l’avversario che non cosa di buono sarebbe successo se avesse prevalso la propria parte. Insomma si é pensato più a smacchiare i giaguari che non a formulare visioni innovative di società. Allo stesso modo, anche le forze politiche che sono uscite sconfitte dalla competizione elettorale, sono state poi valutate dai loro stessi elettori sula loro capacità di opporsi, di dimostrarsi davvero contro la parte uscita vincitrice, non di concorrere con spirito critico al progresso del Paese.
La cultura del contro non é certo un’esclusiva della destra, anzi é stata potentemente agevolata e “nobilitata” dalla stessa teoria marxista del nemico di classe, secondo la quale la sconfitta del nemico, di classe appunto, avrebbe dischiuso le porte niente meno che alla felicità degli individui.
Il polo pentaleghista é intriso di cultura del nemico. In diversi momenti, sono stati indicati come responsabili dell’infelicità degli individui, “i politici” (secondo tale cultura disonesti per definizione), i “burocrati” europei, i “poteri forti”, le banche, le multinazionali, gli immigrati, i giornalisti, ma anche singoli individui, figure come Marchionne e Renzi sul piano nazionale, come Soros e Macron su quello internazionale: il linguaggio dell’anti ha bisogno di dare anche una forma personale al nemico.
Il Governo Conte è la caricatura di questa cultura, è il Governo del No, è il Governo della Vendetta, esso legifera contro i parlamentari delle passate legislature, privandoli dei loro diritti acquisiti, contro i pensionati che si sono guadagnati una pensione importante, contro i “disonesti” consentendo allo Stato di tenere sotto processo un cittadino a vita, contro gli immigrati a cui si limita la possibilità di integrazione, contro le stesse imprese alle quali si limita l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, in fondo contro i giovani, chiamati ad accollarsi l’ulteriore peso di nuovi pensionamenti che essi stessi devono “pagare”, contro i nostri partner europei.
La cultura del nemico non incattivisce solo la scena politica, avvelena anche la società nel suo complesso, in quanto diffonde a piene mani la cultura dell’alibi e della deresponsabilizzazione: i miei mancati successi non dipendono da me, ma dai malvagi che ci governano (oggi dai malvagi che boicottano l’azione di governo), dal “sistema” cattivo, dal capo, dall’azienda. Questo fa prevalere l’attesa del cambiamento derivato dalla sconfitta dei malvagi, sulla propria personale capacità di influire, sul proprio impegno nel fare bene e coscientemente le cose. Questo atteggiamento porta al progressivo disimpegno e determina un deterioramento diffuso della qualità delle relazioni, ma anche dei servizi.
La vera innovazione non consiste dunque nel cambiare governo e alleanze di turno, la vera innovazione politica é di tipo culturale: occorre affermare la cultura del per. Questo é il primo imperativo che ha di fronte a sé chi intende lavorare alla costruzione di una cultura politica alternativa a quella pentaleghista, questo é il primo, dirimente elemento di differenziazione, questo deve ispirare il linguaggio degli innovatori politici. Gli innovatori non hanno mai affermato le loro idee urlando più forte in piazza, oggi non le affermeranno urlando più forte nella piazza virtuale, il web. Chi lo pensa si illude e andrà incontro a una meritata sconfitta: su quel terreno di gioco, contro gli urlatori di professione, si perderebbe la partita e, inevitabilmente, la piazza sceglierebbe Barabba.
Non servono nuovi “cartelli contro”, occorre altro, non basta spiegare che la narrazione pentaleghista é sbagliata, occorre mettere mano a una narrazione alternativa, una narrazione coinvolgente, fondata sul valore della responsabilità individuale, che sappia scaldare i cuori e mettere in luce la bellezza di questo nostro tempo e delle opportunità che esso contiene. Questo é il terreno su cui va giocata la partita, solo su questo terreno gli innovatori possono avere la meglio sui restauratori travestiti da ribelli. Chi giocherà questa partita assolverà a un compito storico.
Tale compito può essere assolto dal PD o da Forza Italia, attuali forze di opposizione? Certamente non fino a quando resteranno barricate nei vecchi e angusti steccati del paradigma destra/sinistra così ampiamente superato dai fatti, non fino a quando si illuderanno di recuperare il M5S alla causa della “sinistra” o la Lega alla causa della “destra”. No, ci vuole altro.
C’è qualche soggetto che può assolvere a questo compito? La lista +Europa ha annunciato di voler evolvere in vera e propria forza politica, in partito a tutti gli effetti. Potrà essere l’embrione di un nascente polo alternativo a quello pentaleghista? Forse, a condizione che non prevalga la tentazione di costruire un accocchino federale di “componenti” interne, un Ulivo bonsai delle anime belle del centro-sinistra e prevalga invece la volontà di elaborare un impianto ideale coraggioso, oltre lo schema destra/sinistra, che sappia parlare il linguaggio della nuova epoca, che sappia cogliere la bellezza dei processi di globalizzazione e digitalizzazione, attrattivo per quella montagna di persone che hanno riposto speranze nell’intento innovatore del primo Berlusconi e dello stesso Renzi. Il congresso fondativo è annunciato per i primissimi mesi del 2019. Per ora l’intento va sostenuto. Staremo a vedere.