Il governo Meloni e il partito che non c’è

Giorgia Meloni ha tenuto il suo discorso alle Camere. Si è respirata di nuovo aria di democrazia, quell’aria che con i tanti governi “tecnici” o “del Presidente” o “di larga intesa”, si stentava a cogliere. Anche il più politico dei governi tecnici, il governo di Mario Draghi, consisteva in fondo in un execution, ancorché eccellente, della mission indicata dal Presidente della Repubblica.

Lo stesso Conte non ha avuto una piena legittimazione elettorale. Fu scelto come premier-manager da Di Maio e Salvini per attuare il “contratto di governo” che avevano stipulato.

Per ritrovare un governo davvero politico, presieduto da una figura indirettamente indicata dagli elettori, forte di una propria visione, bisogna risalire al 2008, al Governo Berlusconi IV.

Insomma, ci eravamo disabituati al pieno esercizio democratico e ci eravamo assuefatti alla proposizione di ricette tecniche in sostituzione delle visioni politiche, finendo per adottare un atteggiamento tecnocratico. Di questo atteggiamento tecnocratico, Carlo Calenda sembra fare la sua bandiera, come d’altronde dimostra la critica che egli rivolge alla Meloni, accusata appunto di elencare i temi e non illustrare le soluzioni. Ma i leader politici propongono una visione, indicano una via, illustrano uno scopo da perseguire. Questo Meloni ha cercato di fare presentando alle Camere il suo governo e secondo me lo ha fatto piuttosto bene.

Il deployment delle strategie in soluzioni tecniche operative, é un passaggio successivo.

Dal punto di vista dei contenuti, mi è parso un discorso ispirato a principi democratici e liberali, caratterizzato da una scelta di campo internazionale di tipo europeista e atlantista, mosso sul piano della giustizia da spirito garantista. Anche il caldo richiamo a un rapporto sano con le forze politiche di opposizione e all’intento di riformare insieme l’impianto istituzionale, ha un sapore profondamente democratico.

Si tratta di un discorso che avrebbe potuto pronunciare un qualsiasi leader liberale europeo. Questa è la mia opinione.

Insomma, chi prevedeva sguaiatezza e autoritarismo, si sbagliava. Così come si sbagliava chi prevedeva una squadra di governo composta da macchiette con libro e moschetto: la qualità della composizione del nascente governo è migliore rispetto ai governi della passata legislatura e segnatamente del Conte I e del Conte II.

Certo, c’è anche Salvini, ma in un sistema in cui governano le coalizioni, con le coabitazioni difficili bisogna farci inevitabilmente i conti. Meloni saprà gestire Salvini? Per ora mi limito a registrare come Salvini la applaudisse mentre impegnava il suo governo a “sostenere con ogni mezzo il valoroso popolo ucraino”.

Insomma, l’Italia può contare su un governo di qualità più che accettabile, ispirato a dichiarati principi liberali.

In qualunque paese europeo, l’azione politica di un siffatto governo, sarebbe condizionata in senso liberale grazie alla partecipazione del Partito Liberal-democratico. In Italia no, in Italia un Partito Liberal-democratico non c’è. Ciò che più gli assomiglia è il terzo polo, ma come ho più volte sottolineato, Azione e Italia Viva si portano dietro una sorta di nevrosi che in un mio recente articolo sintetizzo con il complesso della sinistra, la sindrome dell’ex, la fobia per la destra.

Così il terzo polo rinuncia a quella che dovrebbe essere la missione di un partito liberal-democratico: partecipare al governo, assicurandone e rafforzandone la dichiarata ispirazione liberale.

Così Renzi, pur giganteggiando fra i tanti nani politici che siedono in Parlamento, tuttora afflitto dalla sindrome dell’ex, ancora una volta rivolge il suo intervento in Senato soprattutto agli “amici del PD”, ridicolizzandoli. Ma il sistema democratico italiano non ha bisogno delle battute di Renzi, né dei sassolini che si toglie dalla scarpa, ha bisogno del partito che non c’è, di un partito liberal-democratico che sappia fare il partito liberal-democratico.

Terzo polo, questione di visione.

I recenti avvenimenti politici in ordine alla formazione del nuovo governo e l’espressione delle diverse posizioni politiche, mettono in evidenza come su gran parte dei temi sul tappeto, il conflitto fra destra e sinistra corrisponda alla disputa fra facce della stessa medaglia. Sembra quasi che ci si voglia disputare la palma d’oro del più statalista.

Il sistema democratico italiano ha dunque sempre più bisogno di un’alternativa liberal democratica al bi-populismo. La missione del cosiddetto terzo polo sembra essere proprio questa. Si, ma come procedere?

L’appello a Renzi e Calenda ospitato su questo blog e sottoscritto da centinaia di terzopolisti, ha lo scopo di sollecitare in tal senso. Qualcuno, ben comprensibilmente, ci richiama all’ordine e ci suggerisce di “lasciarli lavorare”. Comprendiamo e apprezziamo questo sentimento. Anche noi, in generale, pensiamo che sia più produttivo dare una mano che non fare i facili giudici. Per quale ragione, allora, pensiamo che il senso dell’appello sia più che mai attuale?

Noi non poniamo un tema di pianificazione, non chiediamo banalmente di “stringere i tempi”, noi mettiamo in evidenza come per dare vita al partito dei liberal democratici ci siano due vie, due differenti visioni, diverse e alternative, o l’una o l’altra.

La via che sembra essere stata presa, consiste nella costituzione di una federazione fra Azione e Italia Viva, con Calenda Presidente, per poi procedere alla fusione dei due partiti. Abbiamo già messo in evidenza come la soluzione della federazione, ancorché transitoria, aggiunga ben poco valore e sia carica di rischi (in questo articolo è spiegato piuttosto precisamente), ma soprattutto vogliamo sottolineare come mettendo insieme due partitini non si ottiene un grande partito, ma un partitino unico. Si tratterebbe di un processo destinato a restare circoscritto nel perimetro piuttosto angusto dei militanti dei due partiti.

La via che proponiamo noi prevede invece il lancio di una fase costituente aperta, rivolta non già ai militanti, ma a tutti gli elettori del terzo polo ed anche a tanti che, pur non avendolo votato, lo hanno guardato con simpatia. Una fase costituente di un soggetto terzo, davvero nuovo, aperto, che non sia espressione della sommatoria dei due partiti, Azione e Italia Viva, ma prenda vita grazie a un’elaborazione originale che caratterizzi l’identità di un soggetto nato ex-novo.

Questa seconda via consentirebbe di adottare un atteggiamento politico nuovo, senza le vecchie zavorre che partiti costituiti da “ex-PD” inevitabilmente si portano dietro: il complesso della sinistra, la sindrome dell’ex, la fobia della destra (qui è spiegato più diffusamente). Renzi e Calenda sono dunque chiamati ad andare oltre loro stessi. Sappiamo di chiedere tanto, ma questo è ciò di cui ha bisogno il nostro Paese.

L’appello a Renzi e Calenda é più attuale che mai

Innanzitutto GRAZIE a tutti coloro che hanno voluto sottoscrivere l’appello a Renzi e Calenda per l’apertura della fase costituente di un nuovo soggetto politico.

Sono convinto che questa iniziativa abbia contribuito a indurre i vertici terzopolisti a una presa di posizione sul tema. Sono anche dell’idea che tale posizione sia ancora troppo timida. Per questo, penso che i contenuti dell’appello siano più attuali che mai.

In effetti, ciò di cui ha bisogno il sistema democratico italiano, non é la fusione di due partitini decisa a tavolino dai suoi due leader, ma é invece l’apertura di una fase costituente volta a coinvolgere un ampio pubblico, oltre il perimetro di Azione e Italia Viva. Solo così si può lavorare all’elaborazione di una visione radicalmente alternativa al bi-populismo ed equidistante da destra e sinistra. In questo mio articolo, pubblicato proprio oggi su Linkiesta, propongo un ulteriore approfondimento.

E se Meloni squadernasse il quadro?

Anche grazie alle sparare del Berlusca, é sempre più chiaro come l’atlantismo rappresenti oggi, più che destra/sinistra, il vero discrimine per la formazione del governo.

Il sincero atteggiamento atlantista attraversa trasversalmente, sia pure con quote diverse, tutte le forze politiche. Così, ad esempio, c’è chi é mosso da spirito atlantista addirittura nella Lega e c’è chi non lo é del tutto nel PD.

Oggi, di fronte al quadro aperto dalle sparate del Berlusca (rincoglionito o diabolico, poco importa, l’effetto é ciò che conta), Meloni é messa alla prova e potrà dimostrare il suo reale spessore. Potrà provare a rattoppare malamente la situazione o potrà squadernare il quadro.

Certo, perché si configuri la seconda opzione, bisognerebbe darle una mano. Credo che il terzo polo farebbe bene a lavorare alla formazione di un governo inequivocabilmente atlantista, a guida Meloni, che preveda nel suo programma l’abolizione del reddito di cittadinanza. Poi ci si presenta alle Camere e si vede ciò che succede.

Lo so, é fantapolitica, ma a volte scatenare la fantasia fa respirare un po’.

La Russa e Fontana: la fine di tutto? No, semplice alternanza.

Che Paese strano: Mattarella non ha ancora formalizzato l’incarico, non si conosce la composizione dell’eventuale governo, addirittura é in dubbio la composizione della maggioranza, men che meno, ovviamente, si può giudicare la qualità delle scelte, ma già si evoca “un’opposizione dura”. Lo stesso Calenda parla di opposizione dura e intransigente, peraltro dopo aver assicurato un’opposizione critica, ma collaborativa. Ma come mai proprio non si riesce a smarcarsi dal rito dell’opposizione dura?

Erano i primi anni ottanta, quarant’anni fa, quando Bettino Craxi indicava come fattore abilitante all’emancipazione democratica del Paese, la serena accettazione della democrazia dell’alternanza. Sono passati quarant’anni e siamo ancora qui, specie a sinistra, a denunciare la fine di tutto se vince il nemico.

Lo schema si applica anche all’elezione dei Presidenti delle Camere. La Russa ha una visione colpevolmente romantica del fascismo, è vero, ma ci si dispera come se con la sua elezione i parlamentari fossero obbligati al saluto romano all’apertura di ogni seduta. Fontana ha una visione da ultrà cattolico, visione invisa anche alla gerarchia ecclesiastica. Cosa pensiamo che questo comporti? La fine dei “diritti” come qualcuno sembra sostenere?

Ma facciamola finita sù, accettiamo una volta per tutte la dinamica dell’alternanza, dinamica che, ovviamente, porta figure di volta in volta distanti l’una dall’altra a ricoprire ruoli di responsabilità. In questo, la sinistra, a causa della sua presunzione, è anche peggio della destra. Non ricordo un solo democristiano o liberale denunciare con la protervia che usa la sinistra, l’elezione di un proprio avversario alla presidenza di una Camera. Eppure di rospi ne hanno dovuti mandare giù: negli anni ‘70 è stato Presidente della Camera Pietro Ingrao, leader dell’area operaista del Partito Comunista; gli è seguita la comunista Nilde Iotti, storica compagna del Migliore, braccio destro di Stalin nella Seconda Internazionale; poi Giorgio Napolitano, leader dei comunisti miglioristi; infine Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista. Anche in tempi recenti, l’elezione di Laura Bodrini, anch’ella proveniente da Rifondazione Comunista, non provocò a destra lo sdegno che si respira oggi a sinistra. Certo, la Bodrini è stata contestata, ma per le posizioni che ha assunto, non per il fatto in sé di essere stata eletta. La sinistra in quanto a rispetto della dinamica democratica ha tanto da imparare dalla destra. Ma a sinistra non ci se ne rende conto, si pensa che i propri rappresentanti, anche quando così fortemente caratterizzati, siano “di un’altra statura”.

Tornando all’elezione di Fontana, ciò che legittimamente preoccupa non è certo la sua legittima posizione sulle questioni LGBT, ma semmai le sue posizioni anti-europee e putiniane. Questo sì. Si tratta di una grande concessione a Salvini, concessione che spero peserà nella negoziazione della compagine governativa dove spero che la pregiudiziale atlantista sia effettivamente fatta valere.

A proposito di questo, ciò che non accadrà, ma che sarebbe coerente e auspicabile che accadesse, è un governo atlantista, a guida Meloni (ha vinto le elezioni), sostenuto da una maggioranza composta oltre che da Fratelli di Italia, dal Terzo Polo, da Pezzi di Forza Italia, pezzi della Lega, pezzi del PD. Ovviamente si tratta di fantapolitica.

Intanto Renzi e Calenda non dimentichino la promessa fatta agli elettori in ordine alla costituzione di un nuovo soggetto politico che prenda vita dall’esperienza elettorale dell’alleanza tra Azione e Italia Viva. Bisogna ricordarglielo, Renzi è troppo preso dalla voglia di esprimere la sua sagacia tattica nelle scelte parlamentari, Calenda dà l’impressione di temporeggiare. Magari non sarà così, ma far sentire la nostra voce non può far male, per questo in tanti stanno sottoscrivendo l’appello che ospito sul mio blog e che io stesso ho sottoscritto: Appello a Renzi e Calenda – Il blog di Alessandro Chelo

Appello a Renzi e Calenda

Con un gruppo di amici perlopiù genovesi, abbiamo pensato di appellarci a Renzi e Calenda affinché diano seguito all’esperienza elettorale del terzo polo per dare davvero vita, senza ulteriori indugi, a una forza politica liberal-democratica. Alcuni di noi fanno riferimento a Italia Viva e Azione, ma la gran parte di noi non ha appartenenza. Il nostro intento consiste nel coinvolgere altre persone in questa iniziativa, persone di altre città, con storie e esperienze diverse. Ecco il testo dell’appello:

Esortiamo Matteo Renzi e Carlo Calenda a dare vita, senza indugi, alla fase costituente di un nuovo soggetto politico.

Riteniamo che una semplice “federazione” rappresenterebbe una soluzione debole e parziale. La costituzione di nuovo soggetto politico presuppone lo scioglimento dei partiti che lo generano.

Riteniamo che la fase costituente debba coinvolgere un pubblico ampio, ben oltre il perimetro di Azione e Italia Viva.

La fase costituente deve definire in modo inequivocabile, alcuni elementi di fondo:

• La visione. Occorre proporre la visione di un futuro possibile, ma al contempo desiderabile e definirne gli elementi fondanti. Il pur apprezzabile richiamo alla competenza e al pragmatismo appare parziale e insufficiente.

• Il posizionamento. Occorre confermare un atteggiamento politico effettivamente equidistante da destra e sinistra. Occorre rappresentare una reale alternativa al bi-populismo, al fine di rivolgersi con credibilità a tutti gli elettori, nessuno escluso.

• L’organizzazione e la leadership. Occorre salvaguardare la rappresentanza senza che ciò vada a detrimento di valori essenziali quali l’efficacia e la qualità. Una formula organizzativa moderna favorisce un ampio coinvolgimento, affinché più persone con esperienze e provenienze diverse partecipino all’elaborazione della visione e possano concorrere alla determinazione della leadership più coerente col progetto politico.

Il momento é ora. Cogliamo l’occasione che la storia ci regala.

Chiunque volesse unirsi a noi e sottoscrivere l’appello, può farlo a questa pagina del blog: APPELLO A RENZI E CALENDA

Il dilemma del terzopolista: redimere il PD o dare vita a un nuovo soggetto politico?

Tra terzopolisti si ragiona sulla costruzione di un nuovo soggetto politico che superi Azione e Italia Viva. I più pensano a un nome come Renew Europe Italia. Si tratta di un progetto impegnativo ed entusiasmante. Per mettervi mano, occorre però scrollarsi definitivamente di dosso la sindrome dell’ex, l’idea che prima o poi l’amante che ci ha traditi torni sui suoi passi e, grazie alla nostra perseveranza, possa “cambiare” e tornare ad essere ciò che era. Come tutti gli amanti traditi, anche un certo tipo di terzopolista dice peste e corna dell’ex, ma non fa che parlarne, fuor di metafora, si dice peste e corna del PD, ma non si fa che parlarne.

Così come l’amante tradito pensa che quando l’ex avrà capito che il nuovo amore non è quello vero tornerà sui suoi passi, anche il terzopolista afflitto dalla sindrome dell’ex, pensa che il PD possa tornare ad essere ciò che era in origine. Ma cos’era il PD alle sue origini? Davvero è cambiato nel tempo in quanto folgorato da un’illusione d’amore (Conte)? Il suo attuale atteggiamento politico non è invece del tutto coerente con la sua storia? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

L’attuale crisi di identità del PD rappresenta un momento contingente? No. Il PD è nato interrogandosi sulla propria identità, da sempre contraddittoria, ed ha vissuto continuando a interrogarsi sulla propria identità. Gli stessi tentativi di Veltroni prima e Renzi poi, sono apparsi deboli, quasi estranei alla cultura del partito e sono miseramente naufragati. Perché? Sì ok, la “ditta”, i cattivi, i sabotatori. Tutto vero, ma se si vuole tentare un’analisi che vada oltre il gossip, bisogna scavare ancora un po’.

Le radici della crisi di identità del PD, vanno ricercate nell’evento che ha consentito la sua genesi: la trasformazione del PCI in PDS. Quando nel 1991, a fronte dell’implosione dell’utopia comunista, Occhetto, l’allora segretario, procedette allo scioglimento del PCI in favore di un nuovo soggetto, il PDS, dimostrò magari un certo coraggio, ma non abbastanza per fare l’unica cosa che avrebbe dovuto fare. Egli avrebbe dovuto pronunciare poche semplici parole: “Quando, travolti dalle sirene staliniane, abbandonammo la casa socialista, compimmo un imperdonabile errore. Chiediamo venia. Chiediamo, umilmente, di essere riaccolti nella casa socialista“. Così facendo, l’Italia avrebbe contato su un grande partito social-democratico e la sua storia politica sarebbe stata di molto diversa. Ma no, Occhetto non lo fece, non pronunciò queste parole. Preferì perpetrare la retorica della “questione morale” in odio ai socialisti, confermare il più o meno dichiarato disprezzo verso la social-democrazia e rivolgersi semmai al mondo cosiddetto cattolico-progressista.

Così l’Italia ha avuto un partito post-comunista, non anti-comunista, sotto sotto anti-socialista e di certo non social-democratico, una sorta di partito comunista moderato più appetibile per una forma di integrazione con la sinistra democristiana. Ciò ha favorito la nascita del PD, anch’esso più catto-comunista che social-democratico. Dal PDS in poi, la sinistra italiana non ha avuto visione né identità, così a finito per acchiappare le battaglie che, dopo l’anti-craxismo, passava il convento: antiberlusconismo, giustizialismo, moralismo, bacchettonismo, anti-renzismo.

Oggi si parla di crisi di identità del PD, ma si dovrebbe parlare di un’implosione generata da una connaturata mancanza di identità. Credo sia il caso di prenderne atto. Non c’è alcuna ispirazione originaria dimenticata, non c’è alcuna identità tradita, c’è semmai una mancanza di identità conclamata. E allora che senso ha perpetrare l’illusione di una redenzione? Redenzione de che? O forse si pensa che la scelta social-democratica possa essere compiuta oggi con trent’anni di ritardo? Non avrebbe senso. Non per il ritardo in sé (che comunque renderebbe la scelta un po’ ridicola), ma perché nel frattempo il mondo è cambiato radicalmente e sarebbe comunque una risposta inadeguata.

Non c’è nessun ex da redimere da riportare su una buona strada che in effetti non ha mai percorso. I terzopolisti, ne scrivo in un articolo per Linkiesta, pensino a dare vita a un soggetto politico che non abbia la missione di “cambiare il PD”, ma sappia rivolgersi a tutti gli elettori, nessuno escluso.

Terzo polo: era già tutto previsto, ma ora mettiamoci al lavoro

Era già tutto previsto, così recitava una vecchia canzone di Riccardo Cocciante. Certo, parlava d’amore e non di elezioni, ma il senso non cambia. Ha vinto Giorgia Meloni. Bene, l’alternanza di governo è cosa di per se stessa benefica, è un fattore di emancipazione democratica, è un fattore di miglioramento della qualità di governo. Meloni saprà mettere a frutto questi fattori potenziali? Vedremo, non lo escludo e naturalmente lo auspico.

Voglio sperare che anche i rappresentanti e parlamentari del terzo polo guardino con curiosità e interesse alla formazione del nuovo governo e sappiano cooperare affinché governi al meglio.

Era già tutto previsto anche per quanto attiene il risultato del terzo polo. Io stesso, su Twitter, alla vigilia del voto, mi ero lasciato andare a una facile previsione.

Grazie alla catastrofica gestione della campagna elettorale da parte del PD, la lista guidata da Calenda ha avuto gioco facile nel pescare nel bacino elettorale della sinistra riformista. Non ha invece sfondato nell’elettorato della cosiddetta destra moderata e l’esito ottenuto da Forza Italia lo testimonia. Ciò conferma che il terzo polo, a oggi, non è percepito come equidistante da destra e sinistra. D’altronde Renzi e Calenda sono ex-PD, lo stesso Renzi nel suo ultimo recente intervento al Senato si è rivolto ai parlamentari dem con l’espressione “amici e compagni del PD”, la gran parte dei militanti terzopolisti hanno continuato a definirsi di “centrosinistra”, Calenda ha più volte dichiarato “mai con la destra!” e d’altronde, fino a pochi giorni prima della decisone di dare vita al terzo polo, stava nel cartello “contro le destre” e Renzi recriminava per essere stato rifiutato dal cartello stesso. Beh, ce n’è abbastanza perchè un elettore della destra moderata guardasse al terzo polo con un certo sospetto. O no? La debolissima proposta dello “stallo istituzionale” per spianare la strada a un improbabile Draghi-bis ha fatto il resto.

Insomma, Calenda sbaglia quando scarica sugli elettori ogni responsabilità rispetto all’esito elettorale: la proposta del terzo polo è stata tardiva e contraddittoria.

Detto questo, guardiamo avanti, grazie alla proposta elettorale del terzo polo è oggi possibile provare a dare vita a una forza davvero alternativa ai populismi di destra e sinistra. Non è cosa scontata, anzi si tratta di una strada in salita. Gli elementi su cui lavorare sono tanti e provo a enunciare i principali.

Il posizionamento. L’equidistanza da destra e sinistra andrà testimoniata coi fatti, con gli atteggiamenti, col linguaggio. Su questo punto è necessario essere inequivocabili. La forza a cui si deve dare vita non è un “terzo polo”, è “l’altro polo”, il polo alternativo al populismo assistenzialista e sovranista di destra e sinistra. La contraddizione destra/sinistra è del tutto secondaria rispetto alla contraddizione bi-populismo/polo alternativo e si consuma perlopiù nell’ambito del polo bi-populista. La nascente forza alternativa deve essere equidistante non in quanto mossa da un’ispirazione centrista, ma perchè collocata “oltre” lo schema destra/sinistra. Cerco di argomentare questo concetto nel pamphlet di recente pubblicazione Bi-populismo? No, grazie. libello la cui lettura credo sia consigliabile a tutti i terzopolisti.

La visione. Occorre superare la retorica della competenza, condizione necessaria, ma di certo non sufficiente. Se non si coglie questo aspetto, la nascente proposta liberal-riformista sarebbe inevitabilmente considerata tecnocratica e destinata a un consenso di nicchia. Per scaldare i cuori degli elettori, bisogna proporre la visione di un futuro desiderabile e possibile. Occorre mettere mano a uno sforzo non banale di produzione e elaborazione di pensiero.

La leadership. Sono convinto che Renzi e Calenda abbiano compiuto, in modi diversi e con onore, la loro missione. Ora ci vogliono volti nuovi, se possibile non etichettabili come ex-PD. Bisogna favorire l’emersione delle risorse disponibili.

Il modello organizzativo. Vanno rifuggiti i modelli ultra-democraticisti che inducono a una campagna elettorale interna permanente e alla creazione delle cosiddette correnti. Bisogna progettare un sistema organizzativo che premi le capacità in modo trasparente e condiviso e diffonda la leadership, superando la polverosa idea che al “centro” spetti l’elaborazione delle idee e ai territori il compito di fare banchetti, distribuire volantini e rompere i coglioni ai vicini di casa in omaggio alla pratica del five. Sottovalutare questo aspetto avrebbe effetti molto deleteri.

I protagonisti. A chi spetta di dare vita a questa iniziativa? Certo, a Azione e Italia Viva, ok, ma basta? No di certo. Il coinvolgimento con un ruolo da protagonisti di figure esterne, di volti nuovi, di gruppi non collocabili, costituirebbe un valore aggiunto di gigantesco valore. Aprire le porte e accogliere, questo è proprio il primo passo.

Quanto spazio per il terzo polo! Sì, ma c’è un però.

Gli ultimi due anni hanno segnato una evidentissima accelerazione di tutti i processi politici. Tale accelerazione ha costretto un po’ tutti i protagonisti a gettare la maschera.

Così nel PD prevale la vocazione vetero-assistenzialista. Ciò si riscontra non solo nell’evidenza delle alleanze elettorali che sono state salvaguardate, ma anche nei contenuti: la divisione del mondo in rosso e nero, in Berlinguer e Almirante (incredibile, credevo fosse un meme) e il dichiarato superamento del blairismo e della stagione del jobs act.

Nella destra, lo statalismo sovranista meloniano ha preso il totale sopravvento su ogni visione liberale. Prova ne sia l’atteggiamento nei confronti della cessione del carrozzone aereo ITA.

Questo quadro apre per la prima volta uno spazio davvero ragguardevole per una proposta liberale alternativa ai populismi di destra e sinistra, entrambi statalisti e assistenzialisti. Ne parlo nell’intervista che ho rilasciato a Radio Leopolda (clicca qui); ne scrivo nel pamphlet di approfondimento che ho pubblicato (clicca qui).

Tutto in discesa quindi per il terzo polo? Manco per niente.

Quali sono le bucce di banana su cui il terzo polo può scivolare? Sono sostanzialmente due: la visione e il posizionamento.

Il tema della visione è cruciale. Pensare che per proporre un’alternativa ai populismi, sia sufficiente il richiamo alla competenza è del tutto illusorio. Il nuovo tempo ha portato con sé nuove opportunità, ma anche nuovi bisogni esistenziali. Ad essi bisogna dare una risposta attraverso una narrazione di futuro alternativa a quella bi-populista. Bisogna mettersi al lavoro in tal senso. Un atteggiamento tecnocratico impedirebbe il decollo di una proposta liberale.

Il tema del posizionamento è più scivoloso perché si scontra con un atteggiamento nevrotico ampiamente diffuso nel terzo polo, tanto al vertice quanto, soprattutto, alla base. Tale atteggiamento nevrotico è sintetizzabile in un complesso e in una sindrome: il complesso della sinistra e la sindrome dell’ex.

L’insistenza con la quale ci si affanna a rassicurare i propri detrattori, “mai con la destra”, è sostanzialmente priva di senso per una forza liberale. Certo, si cercherà di far proseguire l’esperienza del Governo Draghi e, se non sarà possibile, si vedrà il da farsi, con le mani libere: opposizione? Può essere. Condizionamento in senso liberale di un governo di sinistra? Improbabile, ma in linea dai principio non escluso. Condizionamento in senso liberale di un governo di destra? Difficile, ma in linea di principio non escluso. Da cosa dipende? Dalle condizioni politiche che saranno date, non dalle dichiarazioni elettorali. Di certo, molto dipenderà da quanto nei due schieramenti di destra e sinistra saranno emarginate le posizioni di Salvini e Conte. 

Il  terzo polo deve in sostanza adottare un atteggiamento davvero equidistante da destra e sinistra. Facile? No, difficile. L’orientamento, tuttora presente, a rivendicare come “di sinistra” le misure del Governo Renzi, è figlio di quello che chiamo “complesso della sinistra” ed è privo di senso. Ma è così importante appiccicare l’etichetta “di sinistra” ad esempio al jobs act? Non basta il fatto la si ritenga una misura utile, equa e sostenibile? Questa difficoltà si riscontra insomma nel linguaggio, basti pensare al fatto che tuttora Renzi si rivolge al PD utilizzando l’espressione “compagni del PD”. Questa difficoltà si riscontra in generale nell’atteggiamento nei confronti del PD, un atteggiamento vittimistico e rivendicativo: “Non ci avete voluti! Avete posto il veto!” Ma il terzo polo nasce perché il sistema democratico italiano ne ha disperato bisogno o perché Letta ha poso il veto all’alleanza col PD? Dietro a questo atteggiamento c’è appunto la sindrome dell’ex: prima o poi ti farò capire che come me non c’è nessuno, allora cambierai e ci ameremo di nuovo. No, il PD è un partito di matrice catto-comunista che ha sempre considerato corpi estranei chi provasse a smarcarsi, si trattasse di Veltroni o di Renzi, non fa differenza. Il PD per il terzo polo è un avversario come un altro, nulla di più, nulla di diverso.

Il terzo polo non deve “diventare ciò che avrebbe dovuto essere il PD”. Il terzo polo deve rappresentare un’esperienza del tutto nuova e differente, tanto nella visione quanto nel posizionamento.

Se non riuscirà a scrollarsi di dosso il complesso della sinistra e la sindrome dell’ex, il terzo polo replicherà esperienze già vista, quelle delle anime belle della sinistra, si ridurrà a una riedizione di Più Europa e saprà rivolgersi solo agli elettori delusi dal PD.

Ma la missione del terzo polo non consiste nel cambiare il PD, consiste nel cambiare l’Italia e per fare questo deve sapersi rivolgere a tutti gli elettori e quando dico tutti, intendo proprio tutti. Mancano pochi giorni alla scadenza elettorale, un po’ di frittate sono fatte, ma qualcosa, in termini di posizionamento, si può forse ancora fare, magari dando più spazio alle figure provenienti da esperienze politiche disallineate, alludo in particolare all’eccellente Mara Carfagna.

Il giorno dopo le elezioni ci sarà una storia da scrivere. Bisognerà scriverla con nuove parole, adottando un nuovo linguaggio, con la leggiadria di chi ha scelto di liberarsi dei pesanti zaini del passato.

Putin, Draghi e i capponi di Renzo

Il discorso che Draghi ha pronunciato in Senato, non lasciava troppo spazio alle conciliazioni. Qualcuno ha interpretato questo eccesso di nettezza come un errore dettato dalla scarsa esperienza politica. Altri invece lo riconducono al carattere schietto dell’uomo e al fatto che tutto sommato si fosse anche rotto le scatole.

Si tratta in entrambi i casi di interpretazioni ingenerose nei confronti di Mario Draghi, raffinato conoscitore delle relazioni politiche e formidabile negoziatore.

No, non è così. La ragione della nettezza del suo discorso va ricondotta a un passaggio del discorso stesso che i più hanno forse sottovalutato: dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere le interferenze da parte della Russia nella nostra politica e nella nostra società

Draghi sapeva benissimo come si sarebbero comportati Conte, Berlusconi e Salvini, sapeva benissimo come avrebbero votato e lo sapeva perché era ha conoscenza delle fortissime pressioni russe alle quali i tre erano (e sono) sottoposti.

Chi l’ha fatta più grossa è certamente Berlusconi, i video in mano all’amico Vladimir devono essere davvero forti: il Berlusca ha tradito se stesso, l’ispirazione originaria di Forza Italia, i tanti liberali che hanno creduto in lui.

La sostanza è che la vicenda della guerra all’Ucraina e la vicenda della guerra al governo Draghi, sono intimamente connesse. Queste due vicende, dal punto di vista dell’effetto che producono, si sommano e generano una clamorosa accelerazione dei processi politici.

Finalmente assistiamo all’inizio del necessario squadernamento del quadro politico, generato dallo sfaldamento dei principali partiti. Il PD non potrà continuare a lungo a tenere insieme al suo interno, i padri nobili del populismo “di sinistra” e le energie liberal che abitano il partito. Dopo la separazione di Renzi e Calenda, credo ci si debba aspettare una frattura anche più consistente. Forza Italia si è sostanzialmente suicidata politicamente. Ciò ha determinato l’uscita di protagonisti del calibro di Carfagna, Gelmini, Brunetta, Cangini e, già prima, Vito. I 5Stelle hanno subito un’emorragia violentissima grazie all’iniziativa di Di Maio. La componente non salviniana della Lega è più timida, ma qualcosa succederà anche lì.

Questo terremoto sposta il confronto politico da campolargodicetrosinistra/centrodestraunito verso bi-populismo/area Draghi. Finalmente si potranno porre le basi per la costruzione di un’alternativa seria e “moderna” alla narrazione populista.

I transfughi del PD (Renzi e Calenda in primis), insieme ai transfughi di Forza Italia, insieme ai transfughi dei 5Stelle, potrebbero dare vita, insieme, a un’iniziativa di portata storica. L’importante è proporsi con un posizionamento inequivocabile: alternativi al bi-populismo, trasversali rispetto allo schema destra/sinistra. 

Ora incombono le elezioni e la teoria si scontra con le possibilità pratiche. Ancora una volta il bizantinismo italico genera leggi così complesse da essere inevitabilmente ingiuste: alludo alla raccolta delle firme per poter presentare le liste. Parliamo di 36.000 firme autenticate in presenza, suddivise equamente per collegio, da raccogliere in agosto. Lo definirei un vero e proprio vulnus democratico. Sono esenti dalla raccolta firme: Fratelli di Italia, Lega, Forza Italia, PD, Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali, Italia Viva, Coraggio Italia, Più Europa-Centro Democratico, Noi con l’Italia.

Insomma, Azione (Calenda) e Insieme per il Futuro (Di Maio) dovranno accasarsi con Italia Viva e/o con Più Europa.

Meglio così, questo li obbligherà a parlarsi e a unirsi. Se qualcuno fra costoro si farà invece tentare dal collegio sicuro offerto dal PD, che vada, ma chi ci starà dovrà evitare di cadere nella sindrome dei capponi di Renzo: non è tempo di veti.

Staremo a vedere.