Tra terzopolisti si ragiona sulla costruzione di un nuovo soggetto politico che superi Azione e Italia Viva. I più pensano a un nome come Renew Europe Italia. Si tratta di un progetto impegnativo ed entusiasmante. Per mettervi mano, occorre però scrollarsi definitivamente di dosso la sindrome dell’ex, l’idea che prima o poi l’amante che ci ha traditi torni sui suoi passi e, grazie alla nostra perseveranza, possa “cambiare” e tornare ad essere ciò che era. Come tutti gli amanti traditi, anche un certo tipo di terzopolista dice peste e corna dell’ex, ma non fa che parlarne, fuor di metafora, si dice peste e corna del PD, ma non si fa che parlarne.
Così come l’amante tradito pensa che quando l’ex avrà capito che il nuovo amore non è quello vero tornerà sui suoi passi, anche il terzopolista afflitto dalla sindrome dell’ex, pensa che il PD possa tornare ad essere ciò che era in origine. Ma cos’era il PD alle sue origini? Davvero è cambiato nel tempo in quanto folgorato da un’illusione d’amore (Conte)? Il suo attuale atteggiamento politico non è invece del tutto coerente con la sua storia? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
L’attuale crisi di identità del PD rappresenta un momento contingente? No. Il PD è nato interrogandosi sulla propria identità, da sempre contraddittoria, ed ha vissuto continuando a interrogarsi sulla propria identità. Gli stessi tentativi di Veltroni prima e Renzi poi, sono apparsi deboli, quasi estranei alla cultura del partito e sono miseramente naufragati. Perché? Sì ok, la “ditta”, i cattivi, i sabotatori. Tutto vero, ma se si vuole tentare un’analisi che vada oltre il gossip, bisogna scavare ancora un po’.
Le radici della crisi di identità del PD, vanno ricercate nell’evento che ha consentito la sua genesi: la trasformazione del PCI in PDS. Quando nel 1991, a fronte dell’implosione dell’utopia comunista, Occhetto, l’allora segretario, procedette allo scioglimento del PCI in favore di un nuovo soggetto, il PDS, dimostrò magari un certo coraggio, ma non abbastanza per fare l’unica cosa che avrebbe dovuto fare. Egli avrebbe dovuto pronunciare poche semplici parole: “Quando, travolti dalle sirene staliniane, abbandonammo la casa socialista, compimmo un imperdonabile errore. Chiediamo venia. Chiediamo, umilmente, di essere riaccolti nella casa socialista“. Così facendo, l’Italia avrebbe contato su un grande partito social-democratico e la sua storia politica sarebbe stata di molto diversa. Ma no, Occhetto non lo fece, non pronunciò queste parole. Preferì perpetrare la retorica della “questione morale” in odio ai socialisti, confermare il più o meno dichiarato disprezzo verso la social-democrazia e rivolgersi semmai al mondo cosiddetto cattolico-progressista.

Così l’Italia ha avuto un partito post-comunista, non anti-comunista, sotto sotto anti-socialista e di certo non social-democratico, una sorta di partito comunista moderato più appetibile per una forma di integrazione con la sinistra democristiana. Ciò ha favorito la nascita del PD, anch’esso più catto-comunista che social-democratico. Dal PDS in poi, la sinistra italiana non ha avuto visione né identità, così a finito per acchiappare le battaglie che, dopo l’anti-craxismo, passava il convento: antiberlusconismo, giustizialismo, moralismo, bacchettonismo, anti-renzismo.
Oggi si parla di crisi di identità del PD, ma si dovrebbe parlare di un’implosione generata da una connaturata mancanza di identità. Credo sia il caso di prenderne atto. Non c’è alcuna ispirazione originaria dimenticata, non c’è alcuna identità tradita, c’è semmai una mancanza di identità conclamata. E allora che senso ha perpetrare l’illusione di una redenzione? Redenzione de che? O forse si pensa che la scelta social-democratica possa essere compiuta oggi con trent’anni di ritardo? Non avrebbe senso. Non per il ritardo in sé (che comunque renderebbe la scelta un po’ ridicola), ma perché nel frattempo il mondo è cambiato radicalmente e sarebbe comunque una risposta inadeguata.
Non c’è nessun ex da redimere da riportare su una buona strada che in effetti non ha mai percorso. I terzopolisti, ne scrivo in un articolo per Linkiesta, pensino a dare vita a un soggetto politico che non abbia la missione di “cambiare il PD”, ma sappia rivolgersi a tutti gli elettori, nessuno escluso.
Sono tra i fondatori drl Pd, mio ex partito. Feci tutti i passaggi da pci, pds, ds, infine pd. Quando nacque rappresentava un punto di arrivo, la fusione di due anime affini ma non uguali. Non sono stati gli ideali a far naufragio ma le varie personalità interne, alcune sentitesi scalzate dal rinnovamento e quindi ostili alla ricerca del distinguo. Voto unanime in Direzione e appena usciti dalla porta, lavorare contro. La nascita di correnti non di pensiero ma di potere. Spero che il pd ragioni su ciò che vuole essere e da qui quali alleanze praticare. O carne o pesce.
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