L’altro giorno, era il primo giugno, prima di pranzo ho dato un’occhiata al telegiornale, per l’esattezza al TG3. Il tema dominante riguardava la cosiddetta ripartenza e il tema della proroga del blocco dei licenziamenti. La voce centrale era quella di Maurizio Landini, segretario generale della CGIL. Egli non si è lasciato sfuggire l’occasione di proporre l’ennesimo retorico slogan. Ecco le parole testuali: non c’è bisogno di sostenere le imprese, c’è bisogno di sostenere il lavoro.
Lo slogan suona bene e rimanda all’ascoltatore distratto l’idea che le risorse destinate al sostegno delle imprese siano impunemente sottratte a quelle da destinare al sostegno del lavoro. Insomma, si ripropone la polverosa idea che imprese e lavoro viaggino su binari diversi, quasi incompatibili, addirittura conflittuali.
Qualcuno potrebbe sostenere che siano parole degne dell’operaismo degli anni ’70. Vero, e per questo fa ancora più impressione rileggere le parole così diverse che pronunciava Luciano Lama, all’ora segretario generale della CGIL, nel lontano 1978: Noi non possiamo più obbligare le aziende a trattenere alle loro dipendenze un numero di lavoratori che esorbita le loro possibilità produttive. Un sistema economico non sopporta variabili indipendenti. Noi siamo convinti che imporre alle aziende quote di manodopera eccedenti sia una politica suicida.
Landini impersonifica la sconfitta storica di Lama.
Dopo cena decido di dare un’occhiata alla puntata de Le iene. Ed ecco la conferma, in altra forma, del pensiero landiniano: un servizio sul licenziamento di un impiegato di Ferragamo. Il servizio è montato col chiarissimo intento di far apparire il dipendente come una sicura vittima e l’azienda come una sorta di associazione a delinquere. Da quello che ho capito, si tratta di un impiegato che fu assunto personalmente da Ferragamo venticinque anni fa, a cui fu assegnata un’abitazione per sé e per la propria famiglia. Da quanto ho capito, la relazione era improntata a una particolare benevolenza in ragione della storia di quel sudamericano in cerca di fortuna in Italia. Poi la sua abitazione va a fuoco e il dipendente pensa bene di rivolgersi a un avvocato per il rimborso dei danni in contenzioso con l’impresa. Ferragamo, immagino deluso, decide di interrompere il rapporto e chiede al suo responsabile HR di procedere in tal senso, facendo però in modo che il dipendente possa contare sul sussidio di disoccupazione.
In effetti, non conoscendo nel dettaglio la vicenda, non mi sento di prendere le ragioni di questo o quello, ma men che meno mi sento di aderire all’idea del servizio de Le iene secondo cui il dipendente è per definizione una povera vittima e l’azienda è per definizione un ente crudele. In tutto ciò, avendo avuto qualche tempo fa l’onore di conoscere personalmente la famiglia Ferragamo, mi sentirei di escludere comportamenti meno che corretti.
Se questi qui, i Landini e le iene varie, mettessero una volta davvero piede in un’azienda, si accorgerebbero che normalmente l’imprenditore spende il suo tempo e le sue energie a pensare a come sviluppare l’impresa e non a come licenziare i dipendenti.
Decenni di propaganda anti-impresa lasciano e lasceranno il segno. Il compito che i liberal-democratici hanno di fronte a sé, è soprattutto di tipo culturale: sgretolare con coraggio e senza pudore i tabù che le tante iene hanno fatto sedimentare.