Trump, il complottismo, il ribellismo

Quanto sta accadendo in queste ore a Washington, per quanto inatteso, per quanto le immagini possano sconcertare, non è di certo casuale e incomprensibile. I tumulti americani hanno radici ben chiare dal punto di vista esistenziale, culturale e politico.

Dal punto di vista esistenziale, la radice si chiama complottismo. Da dove nasce? L’epoca 4.0 porta con sé un grado di complessità che sfugge ai più e addirittura fa perdere la percezione del rapporto causa-effetto della gran parte dei fenomeni. Accediamo a un’applicazione sul nostro smart phone senza la minima percezione dei processi che determinano l’uso di quell’applicazione, la utilizziamo e basta. La percezione del rapporto causa-effetto è posseduta da pochissime persone che leggono e maneggiano la tecnologia. Le cose succedono e non sappiamo più il perché. Questa perdita di coscienza ci riguarda in moltissimi altri ambiti, ad esempio in quello finanziario che ormai sfugge alla percezione dei più. Sì, le cose succedono e non sappiamo il perché. Ma un perché lo ricerchiamo come possiamo: il bisogno di significato è un bisogno arcaico dell’essere umano. Non possedendo le competenze-conoscenze-esperienze necessarie a determinare i rapporti causa-effetto (forse tutte non le possiede alcuno), ricorriamo a una scorciatoia, il complotto: non capisco perché non vogliono (chi?) che io capisca, c’è qualcosa sotto, è un complotto ai miei danni, quindi in sostanza ai danni del popolo. Il complottismo è in fondo una risposta al senso di incertezza che caratterizza questo nuovo tempo.

Dal punto di vista culturale, la radice si chiama ribellismo. Si tratta di quella cultura politica secondo la quale il popolo sarebbe per definizione buono e il potere sarebbe per definizione cattivo. Questo assioma determina la retorica della rivoluzione e dell’insurrezione popolare. Si tratta di una cultura politica particolarmente cara alla sinistra (avanti popolo alla riscossa), ma talora presa a prestito anche dalla destra estrema: la stessa marcia su Roma fu proposta come un’insurrezione popolare da un demagogo (Benito Mussolini) proveniente dalla sinistra. Gli stessi Grillini, ribellisti nostrani, hanno fatto propria questa cultura insurrezionalista, basti ricordare i loro richiami a circondare il Parlamento e ad “aprirlo come una scatoletta di tonno”. D’altronde l’elezione di Donald Trump fu salutata da Grillo con queste parole: la deflagrazione di un’epoca, un vaffanculo generale, un VDay pazzesco, una sorpresa inaspettata, che cambierà le cose nel mondo.

Dal punto di vista politico, la radice ha ovviamente un nome e un cognome: Donald Trump. Egli ha fatto del complottismo e del ribellismo il suo manifesto politico. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Certo, i suoi avversari sono apparsi deboli e hanno reso possibile la sua ascesa. La loro debolezza deriva dalla mancanza di un convincente impianto ideale alternativo a quello complottista-ribellista trumpiano.

La vicenda americana propone ancora una volta la necessità, ormai divenuta urgente, di mettere mano a un nuovo impianto ideale.

Esso deve essere alternativo a quello complottista-ribellista, deve incentrarsi sui nuovi paradigmi 4.0, deve rispondere ai nuovi bisogni esistenziali deterinati dall’avvento della nuova epoca e infine deve essere inequivocabilmente trasversale rispetto allo schema destra-sinistra. Questa nuova proposta politica deve contenere anche una profonda riflessione sui sistemi di determinazione della rappresentanza politica, oggi ampiamente in crisi.

Chi può rendersi protagonista, in Italia e nel mondo, di tale proposta? Non vedo alcuno all’orizzonte, ma continuo a confidare che qualcosa di buono succeda.

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