La ricetta per l’alternativa al neo-populismo? Testa libera e mani libere.

Per provare a leggere l’attuale intricata e talora incomprensibile situazione politica, è necessario sgomberare il terreno da alcune diffuse credenze. Ecco le tre principali.

PRIMA CREDENZA

Il fenomeno del populismo/sovranismo è una diretta conseguenza dell’ignoranza e delle fake news: i populisti in realtà non hanno visione politica.

FALSO!

Il neo-populismo, al contrario, si fonda su una precisa e attraente narrazione. Eccone la sintesi.

L’epoca 4.0, caratterizzata dai processi di globalizzazione e digitalizzazione, è ricca di insidie. Essa conferisce un crescente potere alle élite e all’establishment e determina un progressivo impoverimento del popolo. Il conflitto sociale, quindi, non si dipana più attraverso un conflitto tra “classi”, ma tra TUTTI i “poteri forti” e TUTTO il popolo. Anche i processi migratori vanno letti in quest’ottica; sono funzionali infatti a estendere le masse da sfruttare a vantaggio delle élite. Occorre quindi difendersi dalla nuova epoca e restituire al popolo sovrano la possibilità di difendere i propri interessi. I neo-populisti sono i paladini del popolo e gli restituiscono il maltolto: ecco il Reddito di Cittadinanza, ecco Quota 100!

Si tratta di una narrazione attraente che risponde a bisogni esistenziali degli individui che si sentono così sollevati dalle proprie responsabilità personali e possono scaricare ogni colpa sul nemico di turno: i burocrati dell’Unione Europea, i professoroni, i banchieri, gli africani, le persone di successo in genere.

Di fronte alla potenza della narrazione neo-populista, certamente non basta il continuo tentativo di denigrarla, occorre un pensiero alternativo, senza il quale l’alternativa appare come conservazione dello status quo.

SECONDA CREDENZA

Il neo-populismo corrisponde sostanzialmente alla destra: l’alternativa non può che derivare dalla sinistra.

FALSO!

Il neo-populismo affonda certamente le sue radici nel peggio della cultura politica della destra sociale, ma anche (e soprattutto) nella cultura politica della sinistra. La retorica del popolo sempre e comunque vittima del potere sempre e comunque cattivo, non appartiene forse alla storia politica della sinistra? Si, Avanti oh popolo alla riscossa recita l’inno Bandiera rossa. L’amato Fabrizio De Andrè, in Storia di un impiegato, il suo album più “politico”, canta certo bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni. Altrettanto vale per la diffidenza verso le persone di successo, verso gli industriali visti più come evasori in pectore che come costruttori di sviluppo, verso le banche: cos’è una rapina in banca in confronto alla rapina della banca? (Feuerbach).

Lo stesso giustizialismo grillino viene da lontano: dalle esultanze della sinistra per ogni avviso di garanzia ricevuto a suo tempo da Berlusconi, dall’esaltazione del Travaglio antiberlusconiano, dal bacchettonismo moralista messo in luce con la vicenda Ruby, in fondo, dalla questione morale di berlingueriana memoria, grazie alla quale Gianroberto Calsaleggio invitò il popolo grillino, in adunata oceanica a Bologna, a gridare entusiasti Ber-in-guer Ber-lin-guer.

La stessa avversione verso la Riforma Fornero non viene forse dal consunto slogan le pensioni non si toccano che la sinistra oppose agli intenti riformatori del Governo Berlusconi? E il Decreto Dignità, volto a “ridurre i danni prodotti dalla riforma del lavoro voluta dal Governo Renzi”, non è forse parente con quel sindacalismo di sinistra che portò tre milioni di persone al Circo Massimo, contro l’ipotesi dell’abolizione dell’articolo 18 proposta dal Governo Berlusconi? Lo stesso Reddito di Cittadinanza si fonda sull’idea cara alla sinistra secondo la quale il lavoro, prima di essere un fattore di affermazione dell’individuo, è una condizione che lo Stato deve garantire.

La stessa cultura del nemico, così cara ai neo-populisti, è in fondo apparentata col sentimento e con la teoria del “nemico di classe” marxiana.

Il neo-populismo viene soprattutto dalla cultura politica della sinistra, mettiamocelo bene in testa, quindi l’idea che l’alternativa al neo-populismo debba incentrarsi sulla sinistra è del tutto bislacca.

Occorre mettere mano a una narrazione alternativa, trasversale rispetto allo schema destra/sinistra e attraente per qualunque elettore, nessuno escluso.

TERZA CREDENZA

L’idea di andare oltre lo schema destra/sinistra è infondata: destra e sinistra sono sempre esistite e sempre esisteranno.

FALSO

Le categorie politiche, contrariamente a quelle morali che appartengono a un piano del tutto diverso, hanno un ciclo di vita: Guelfi e Ghibellini non sono “sempre esistiti”, hanno avuto un ruolo in una precisa fase politica di un preciso contesto. Destra e sinistra nascono formalmente al tempo della Rivoluzione Francese (chi si siede alla destra e chi alla sinistra degli Stati Generali), ma trovano la loro sublimazione con la Rivoluzione Industriale e con la teoria del conflitto di classe che ne è derivata.

Oggi, di fronte all’insorgere di una nuova epoca, è del tutto normale che i vecchi paradigmi non aiutino più a leggere la realtà e debbano essere sostituiti. E’ in quest’ottica che va interpretato il superamento del paradigma destra/sinistra. Ogni volta che Matteo Renzi rivendicò quanto fossero “di sinistra” le misure del suo governo, apparve debole. Certo, doveva compiacere i suoi compagni di partito di allora, ma così facendo allontanava i suoi nuovi elettori, quelli del 42% delle Europee.

L’ansia di volersi dimostrare “di sinistra” è oggi priva di senso, in quanto inattuale e in fondo antistorica. Quando, per fare un esempio, l’ottima Teresa Bellanova, chiudendo la Leopolda, dice con grande enfasi che “il merito è di sinistra”, dice una cosa inutile, controproducente, ma soprattutto non vera.

Bisogna avere il coraggio, l’apertura mentale e l’onestà intellettuale di lasciarsi alle spalle gli arnesi della vecchia epoca, arnesi che assomigliano sempre più a fantasmi. Occorre leggere la realtà con nuovi paradigmi.

Quindi? Che fare? 

Innanzitutto bisogna mettersi bene in testa che non basta negare e denigrare la narrazione altrui, ma occorre proporne una propria, migliore. Essa va elaborata. La narrazione alternativa deve fondarsi su una visione positiva dell’epoca 4.0 e su una concezione ottimistica della natura umana. Essa deve ispirarsi a una visione profondamente umanistica, incentrata sulla fiducia nelle possibilità degli individui.

Chi può generare questo processo creativo?

Oggi l’unica forza che può aspirare a questo ruolo è Italia Viva.

Italia Viva è chiamata a scelte coraggiose, mosse da spirito innovatore e da profonda onestà intellettuale. Non è una sfida facile, anzi. Di certo essa disegna il discrimine tra due possibili esiti dell’iniziativa renziana: costruire l’alternativa al neo-populismo o ritagliarsi uno spazio nel campo del centro-sinistra.

Per costruire l’alternativa, occorre rivolgersi a tutti gli elettori, oltre le vecchie etichette, consapevoli che non c’è un “campo naturale” di appartenenza, ma c’è in compenso una missione storica da compiere.

Certo, in attesa che questo processo si compia, dobbiamo fare i conti con un quadro politico in transizione che ancora non distingue tra il polo neo-populista  e il polo neo-umanista (lavori in corso). Questo quadro impone inevitabilmente scelte contraddittorie e talora spregiudicate, come contraddittoria e spregiudicata è stata la scelta di dare vita all’attuale governo, fondato, Renzi lo ha detto e ridetto in tutte le salse, su un’alleanza anomala e temporanea che non definisce in modo pregiudiziale alcun “campo” di appartenenza e alcuna alleanza strategica.

Certo, c’è chi, in nome di un’interpretazione tutta retorica della “coerenza”, preferisce non giocare la partita. E’ il caso di Azione (Calenda) e di Più Europa (Bonino & C). Quando comprenderanno che la partita va invece comunque giocata, le porte di Italia Viva saranno ben aperte al loro contributo. Ma oggi non si può giocare la partita insieme a chi non la vuole giocare: per questo è per me fuorviante pensare alla costruzione con costoro di un fronte liberal-democratico.

Italia Viva ha scelto di giocare la partita. Ha scelto di giocarla fino in fondo, quindi non solo sul piano del governo nazionale, ma anche sul piano regionale e locale. Ma attenzione: così come sono oggi necessarie scelte contraddittorie e spregiudicate (che nulla hanno a che fare con l’appartenenza a un campo) sul piano nazionale, anche sul piano regionale occorre adottare un atteggiamento “libero”: non ci sono “campi naturali” predeterminati.

Ci vuole coraggio. Esso si dimostra attraverso la capacità di operare scelte “disruptive”, non convenzionali, oltre i vecchi schemi e le vecchie abitudini oggi polverose e perdenti.

Occorre un nuovo atteggiamento: testa libera e mani libere.

Il sostegno a Bonaccini in Emilia Romagna è fuori discussione. Perché? Perché aèppartiene al “campo naturale”? No. Perché ha governato complessivamente bene, perché é un buon candidato, perché ha chance di vittoria.

Puglia é Liguria, ad esempio, rappresentano casi diversi. Essi vanno affrontati con testa libera e mani libere. Vanno affrontati anche con coerenza, certo. Coerenza verso il proprio “campo naturale”? No, verso la propria storica missione politica.

Solo con testa libera e mani libere, ci si può rivolgere con successo al popolo dei senza casa.

É un popolo nuovo e composito. É il popolo della nuova epoca politica, è un popolo di persone che vogliono sentirsi persone a tutto tondo e senza etichette. É un popolo di persone che hanno una visione umanistica della vita e, in fondo, una visione ottimistica della natura umana. Persone che desiderano affermarsi ed esprimersi, persone che di fronte ai propri mancati successi, non cercano alibi, ispirate dal valore della responsabilità individuale. É un popolo di persone non afflitte dal bisogno del nemico, sanno affermare se stesse anche senza vivere “contro”, preferiscono vivere “per”. Non odiano, preferiscono scovare il bello e dargli spazio. Non rivendicano il mondo perfetto, sono consapevoli della contraddittorietà della realtà. É un popolo di persone aperte e inclusive che non per questo si sentono obbligate a definirsi “di sinistra”; é un popolo di persone che sanno rispettare l’autorità, ma non per questo si sentono obbligate a definirsi “di destra”. Sono persone che vogliono sentirsi libere: possono votare SI al referendum costituzionale senza per questo sentirsi “renziani”; possono votare per il centrodestra senza per questo sentirsi “salviniani”; possono sentirsi un po’ liberali e un po’ socialiste senza per questo sentirsi incoerenti; possono ritenersi profondamente laiche e al contempo ispirate dal cristianesimo. É un popolo di persone che amano i buoni sentimenti e i sani principi, non cedono all’odio verso un nemico sul quale scaricare ogni colpa né verso una “classe” in cui incarnare ogni male.

In fondo si tratta del popolo dei “buonisti” e dei “globalisti”, termini che non assimilano a insulti. Sono i cani sciolti dell’innovazione.

É un popolo bellissimo, fino ad oggi senza casa. Bisogna dargliela. Bisogna costruirla. Bisogna mettersi al lavoro. Dev’essere una casa aperta, le cui salde fondamenta non possono poggiare su riedizioni di partiti o partitini della vecchia epoca.

Se Italia Viva avrà il coraggio e la forza di andare oltre i vecchi steccati, i vecchi paradigmi, i vecchi pregiudizi, potrà rivelarsi una casa accogliente per questo popolo e potrà assolvere a un compito di portata storica.

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