Cattolici e laicisti di fronte al Congresso Mondiale della Famiglia

Il Congresso di Verona ha per l’ennesima volta rispolverato la vecchia abitudine contestataria di finalizzare più energie nel criminalizzare le idee e iniziative altrui piuttosto che nel proporne di proprie.

Così si sono sprecati i commenti, le contestazioni, le ingiurie, fino a giungere alla consueta “contro-manifestazione”. Credo invece che sarebbe più utile impegnarsi nella produzione di un’idea umanistica e progressista del significato di famiglia nell’epoca 4.0, da proporre in alternativa a quella retrograda dei congressisti veronesi.

In questo coacervo di commenti, uno in particolare ha colpito la mia attenzione, quello che Elisa Serafini, già Assessora della Giunta Bucci di Genova, poi approdata a Più Europa, ha pubblicato sulla sua bacheca di Facebook. Ella scrive: Signori, ma di cosa vi stupite rispetto ai temi del Congresso delle Famiglie? I gay vanno all’inferno, le donne devono avere meno potere possibile, l’aborto andrebbe vietato: sono tutte posizioni ufficiali della Chiesa Cattolica. Non vi piacciono? Bene, allora dichiaratevi agnostici (come la sottoscritta), atei, o cambiate confessione (ce ne sono molte altre). Ma per favore, se vi ritenete Cattolici, non mostratevi indignati condividendo i video di questi signori. La Chiesa Cattolica HA QUESTE POSIZIONI. Punto. Chi non le condivide è ora che forse si faccia due domande, o finirà per dimostrarsi molto meno coerente e “superiore” degli stessi partecipanti che tanto vengono scherniti oggi sui social.

Il suo post ha suscitato molti commenti, taluni stizziti, soprattutto da parte di cattolici che si sono sentiti tirati in ballo e forse offesi. Essi hanno per lo più fatto riferimento al “vero messaggio evangelico” che nulla avrebbe a che fare coi contenuti del Congresso di Verona. Forse ciò è anche vero, ma c’entra nulla con quanto sostiene Elisa: ella non fa riferimento al “vero messaggio evangelico”, ma alle posizioni dottrinali della Chiesa Cattolica.

C’è poco da fare, quanto scrive Elisa può non piacere, ma sferra un pugno nello stomaco o, se preferite, getta un secchio d’acqua gelida in faccia e ripropone quanto sia tuttora equivoca la distinzione tra cattolicesimo e cristianesimo e quanto sia tuttora fuorviante il comune significato che si attribuisce al termine “laico”. Vediamo queste due questioni.

Cattolicesimo e Cristianesimo. Da oltre cinquecento anni, in larga parte del mondo, i due piani vengono chiaramente distinti. In quella parte del mondo, ad esempio, a nessuno verrebbe in mente di definirsi di religione cattolica: è ben chiaro a tutti che quella cattolica è una dottrina e non una religione e che, se si parla di religione, si parla di religione cristiana. In alcuni paesi Mediterranei e latino-americani, tra i quali l’Italia, questa distinzione è al contrario molto sfumata.

Se sei Cattolico non puoi non essere Cristiano, se sei Cristiano, puoi non essere Cattolico.

Mettiamocelo-bene-in-testa.

I Cattolici che contestano talune prese di posizione del Congresso di Verona, coerenti con la dottrina cattolica, dicendo “si però il messaggio evangelico…”, restino Cristiani e cambino dottrina.

Questo ragionamento vale anche per i sacerdoti alla Don Gallo (buon anima). Ti senti Cristiano, ma non condividi la dottrina cattolica? Resta Cristiano, adotta altra dottrina (anche squisitamente personale) e non rompere i coglioni.

Per sentirsi Cristiani, non è necessario aderire alla Chiesa Cattolica. Punto.

Altra questione è quella della laicità. Secondo alcuni, di fatto, il credente non potrebbe essere autenticamente laico e l’ateo sarebbe più abilitato alla laicità. Che triste e oscurantista visione della laicità!

Conoscete un’esortazione più laica di “date a Cesare quel che è di Cesare”? No? Invece c’è: l’esortazione a imparare dall’appartenente ad altra dottrina, dal buon samaritano.

In realtà la laicità, in quanto “non appartenenza”, è un’aspirazione, ma non una condizione realistica: il “non appartenente” appartiene comunque alla comunità dei non appartenenti.

La laicità non si esprime dunque attraverso la non appartenenza, ma attraverso la scelta di subordinare la propria appartenenza a un’appartenenza più ampia. Così il Cattolico al Governo, ad esempio, è chiamato a sospendere la sua appartenenza alla Chiesa Cattolica in ragione della sua appartenenza a una comunità più ampia, lo Stato.

Chi non fosse disponibile, inevitabilmente promuoverebbe una teocrazia. È il caso di diversi paesi islamici, è il caso del Tibet, da questo punto di vista assolutamente assimilabile all’Arabia Saudita.

Questo vale per l’adesione a chiese e dottrine. Vale anche per le ispirazioni religiose e ideali? No.

Si può governare laicamente, in coerenza con la propria ispirazione liberale e/o cristiana e/o socialista.

Mettiamocelo-bene-in-testa.

Da questo punto di vista, tanti (ma tanti) atei laicisti, sono molto meno laici di tanti credenti. Vale anche per molti radicali impegnati in quelle “crociate laiche”, molto più crociate che laiche.

Il Congresso di Verona e le polemiche che ne sono conseguite, hanno messo in evidenza, per l’ennesima volta, la necessità di fare chiarezza su questi equivoci, una chiarezza che darebbe straordinario impulso all’emancipazione culturale del Paese.

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