Caro Benedetto,
con il congresso costitutivo di Più Europa e la tua elezione a Segretario, inizia certamente una fase nuova della storia di questa organizzazione che hai ispirato e così fortemente voluto. La mia speranza è che, grazie all’avvento di questo neonato soggetto politico, possa iniziare una fase nuova anche per la democrazia italiana.
La democrazia italiana versa infatti in uno stato di pericolosa debolezza in ragione del nuovo bipolarismo che si è, nei fatti, generato: da una parte il polo pentaleghista, dall’altra il “polo che non c’è”. Le forze politiche novecentesche, il PD e la stessa Forza Italia, ancora prigioniere del vecchio paradigma politico incentrato sullo schema destra/sinistra, non sono in grado di leggere questo nuovo bipolarismo e men che meno di offrire risposte.
E’ quindi imprescindibile che una nuova forza prenda sulle sue spalle questo compito che non esito a definire storico: costruire l’alternativa al populismo penta-leghista. Ciò presuppone resistere a ogni tentazione di ritorno al passato, alle sirene che propongono l’ennesimo “cartello contro”. Costoro vedono nuovi “giaguari da smacchiare” e non comprendono che l’alternativa non si costruisce denigrando la narrazione altrui, ma proponendone una propria, migliore e altrettanto attraente. Nell’ennesimo cartello contro, Più Europa potrebbe ricavarsi, nella migliore delle ipotesi, il ruolo di ulivo bonsai delle anime belle del centro-sinistra: una ben triste prospettiva.
Occorre invece mettersi al lavoro per elaborare una nuova narrazione, che vada al di là della semplice comprensione delle paure generate dall’epoca 4.0, ma sappia mettere in luce la bellezza della nuova epoca, un’epoca che, lungi dall’essere aridamente tecnicistica, è invece profondamente umanistica, in quanto incentrata sulla responsabilizzazione degli individui, sulla loro capacità di scegliere il proprio percorso di vita e di discernere tra la montagna di informazioni disponibili a ciascuno. Insomma, guai a contrapporre la comprensione della paura, all’istigazione della paura: all’istigazione della paura, occorre contrapporre la speranza e la fiducia. E’ possibile. E’ anche meno difficile di quanto sembri. Bisogna mettersi al lavoro in tal senso.
Solo una narrazione alternativa a quella populista consentirà a Più Europa di proporsi con una comunicazione “per” e non solo “contro”, fattore decisivo per affermare le ragioni dell’alternativa. Si, chiamiamola alternativa, dimentichiamo il polveroso termine “opposizione”. A proposito di comunicazione, occorre anche tenere presente come il terreno della piazza non sia mai stato favorevole agli innovatori: come ben sappiamo, la piazza tende a prediligere i Barabba. La nuova piazza è quella virtuale, quella dei social. Lì gli innovatori perdono la partita. Bisogna comunque esserci? Probabilmente si, ma senza l’illusione che quello sia il terreno su cui giocare la partita. Occorre trovarne altri. Non alludo alla retorica dei “territori”, alludo alla testimonianza (uso volentieri questa parola) nelle diverse comunità che abitiamo, da quelle professionali a quelle sociali. Un modello di partito efficace deve tenere ben in conto questo aspetto.
Oggi opporsi equivale ad apparire quelli dello status quo. Più Europa non è chiamata ad opporsi, è chiamata a proporre una visione entusiasmante e al contempo possibile del futuro del mondo e degli individui. Tale visione va elaborata in racconto: la diversità di anime e storie che convivono in Più Europa (sono più di quelle rappresentate dai soggetti fondatori, Forza Europa, Radicali e Centro Democratico) rappresenta da questo punto di vista un inestimabile valore aggiunto. A condizione che non si pensi di fare di Più Europa un “salva con nome” di una delle sue anime e a condizione che non ci si produca in un compromesso continuo per farle convivere, sforzo che si rivelerebbe inevitabilmente estenuante: occorre appunto una sintesi più alta e innovativa, che vada oltre le passate e ormai vecchie identità, una sintesi più alta nella quale chiunque si possa individualmente riconoscere. Sottolineo, individualmente.
Gli stessi temi cosiddetti etici, riferiti ai diritti civili, possono trovare una sintesi più alta. La mia opinione è che oggi, sui temi etici, il discrimine non sia tra le posizioni diverse, ma tra chi urla la propria posizione facendone una crociata (laica o religiosa poco importa, sempre crociata è) e chi ragiona e propone soluzioni fondate anche sull’ascolto dell’altro, senza perdere il seme del dubbio. Sostengo ciò, partendo dalla convinzione che i temi etici non chiamino a una scelta tra il bene e il male (facile), ma tra forme diverse di bene. Questo ragionamento ci chiama a superare anche la vecchia semplificazione secondo la quale lo spirito laico albergherebbe più naturalmente in un ateo piuttosto che in un religioso. Non è così. Conosco, anche in Più Europa, atei anticlericali che di laico non hanno alcunché ed esprimono posizioni pregiudizialmente condizionate dalla loro appartenenza; allo stesso modo, conosco persone ispirate da sentimento religioso, orientate all’ascolto delle ragioni dell’altro e molto meno condizionate dalla propria ispirazione che, non vivendola come “appartenenza”, si dimostrano molto più laiche. D’altro canto, caro Benedetto, conosci qualcosa di più laico della frase “date a Cesare quel che è di Cesare”? Forse si, qualcosa di ancora più laico c’è: l’esortazione a imparare dall’appartenente ad altra comunità, dal buon samaritano.
In conclusione e sintesi estrema, il pensiero che, abusando della tua amicizia, condivido con te è il seguente: occorre unire le diverse anime di Più Europa in una sintesi più alta, ma non bisogna temere il fatto che tale sintesi sia dirimente per qualcuno. Più Europa ha bisogno di ricchezza della diversità, non di “opposizione interna”. Tenere insieme surrettiziamente narrazioni diverse, farebbe di Più Europa un piccolo PD, un partito che appare alla permanete ricerca di un’identità. L’identità di Più Europa deve essere al contrario innovativa, inequivocabile, dirimente.
Con amicizia, stima e pieno sostegno.
Alessandro