All’epoca della mia infanzia, erano gli anni sessanta, negli USA soffiava un tragico vento razzista. Le persone di colore venivano guardate con disprezzo, considerate inferiori e discriminate. Per loro meno diritti, scuole e mezzi pubblici dedicati, università vietate. La parola “negro” indicava in senso dispregiativo il diverso colore della pelle.
Malmenare un nero era tollerato. Alcuni gruppi, il più noto era il Ku Klux Clan, organizzavano impunemente raid e pestaggi. Le voci che si alzavano contrarie, venivano zittite utilizzando come espediente retorico il rinfacciamento dei reati (talora inventati) commessi dai neri: “quando un nero commette un crimine ai danni di un bianco vi va bene, vi indignate solo quando un bianco commette un crimine ai danni di un nero!” Insomma, la favola del buonismo non è una gran novità.
Ricordo perfettamente i commenti che allora si sprecavano in Italia. Tutti, ma proprio tutti, si mostravano allibiti e si dicevano indignati. Tutti, ma proprio tutti, coglievano bene come l’esecrabile crimine di un nero ai danni di un bianco (ad esempio un furto) non avesse alcun connotato razzista, mentre il raid di un gruppo di bianchi fanatici nei confronti di un nero in quanto nero, fosse un atto di puro e semplice razzismo. Era ovvio agli occhi di tutti. Cose che in Italia, il Belpaese, non sarebbero mai potute succedere. Già, italiani brava gente.
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