Hanno vinto in tre: la Lega (al nord), i 5Stelle (al sud), la coalizione di centrodestra (un po’ ovunque, ma specie al nord). Hanno vinto in tre, ma nessuno ha i numeri per governare e nessuno sembra disponibile ad alleanze che esprimano maggioranze politiche. Vedremo. Il voto tra un anno, in concomitanza con le europee, dopo aver fatto una nuova legge elettorale, non pare ipotesi peregrina. Nel frattempo, un governo cosiddetto “del Presidente” o un Gentiloni rivisitato, di minoranza.
La cosa certa è che tanti elettori si sentono “senza casa”.
Sono senza casa gli elettori riformisti che hanno preso atto del fallimento del tentativo renziano di trasformare il PD e che vedono anzi profilarsi una restaurazione; sono senza casa gli elettori di ispirazione liberale vicini al centrodestra che guardano con rammarico all’egemonia di Salvini; sono rimasti senza casa anche gli elettori propensi alla necessità di un segnale forte di cambiamento, delusi dal doppiopettismo pentastellato. Si è aperta una voragine. Non starà lì ad aspettare: gli spazi politici si riempiono rapidamente, è quasi una legge fisica. Chi lo riempirà?
Il soggetto adatto allo scopo, potrebbe nascere dall’esperienza di +Europa.
Facciamoci un ragionamento.
+Europa ha ottenuto il 2,6% su base nazionale. Il fatto che la stampa e la vulgata abbiano identificato +Europa con “i radicali” e con Emma Bonino, ha consentito alla lista di rivolgersi allo zoccolo di elettorato radicale (1-1,5%); aggiungendo una quota di elettori di centrosinistra non intenzionati a votare PD, si è ottenuto piuttosto agevolmente il 2,6%.
Eppure in alcuni centri la lista è andata ben oltre: non solo nel centro di Roma, anche in quello di Milano, di Torino, di Genova, dove nella cicoscrizione del centro storico la lista ha sfiorato il 12%. Dove la lista ha ottenuto simili risultati, evidentemente è passata l’idea che il suo significato andasse ben oltre l’identità radicale. L’appiattimento della lista sui radicali, l’ha abilitata al 2,5% e al contempo le ha impedito di andare oltre; laddove la lista ha ottenuto risultati particolarmente brillanti, gli elettori hanno evidentemente fatto un atto di fede sul fatto che davvero la lista avesse un significato più ampio. Il nome di Emma Bonino è stato certamente essenziale per raggiungere il 2,6%, ma non è stato poi così indispensabile laddove il senso più ampio e la potenzialità della lista sono stati colti.
Per colmare lo spazio politico al quale facevo riferimento, occorre confermare con forza il “significato più ampio” dell’esperienza di +Europa, al di là delle forze che hanno dato vita alla lista.
Come fare? Per tentare una risposta, è utile ripercorrere la genesi della lista. Essa nasce dall’intuizione di Benedetto Della Vedova e del gruppo di intellettuali che la hanno condivisa dando vita al movimento di opinione di Forza Europa: lo schema destra/sinistra è secondario rispetto allo schema aperto/chiuso; il tema europeo è il vero discrimine politico. Sulla base di questo nuovo paradigma, il gruppo di Forza Europa ha ritenuto di proporre ai Radicali di Emma Bonino la comune partecipazione alle elezioni politiche con una lista che ponesse come centrale il tema europeo. I Radicali, dopo prolungato e sofferto dibattito interno, hanno aderito alla proposta ed Emma Bonino ha generosamente concesso il suo nome alla lista. In corso d’opera, come è noto, si è aggregato il Centro Democratico di Tabacci esentando così la lista dalla necessità di raccogliere le firme altrimenti necessarie per la presentazione. Insomma, benché la stampa e la vulgata abbiano identificato +Europa con “i radicali”, i soggetti in gioco erano (e sono) almeno tre: uno c’ha messo l’idea, uno il brand, uno l’esenzione dalla raccolta firme.
Ora si è chiamati a far evolvere +Europa, a rispondere all’atto di fede di quegli elettori che, in talune aree specifiche, hanno intuito e premiato la portata potenziale del progetto.
Occorre far derivare dall’esperienza di +Europa, un soggetto politico nuovo, al riparo dal rischio di appiattimento sui Radicali, pena il raggiungere, ma non superare il 2,6% e il perdere credibilità agli occhi di quegli elettori che hanno scelto di premiare la potenzialità del progetto.
Ciò non si realizza con un qualche agglomerato di sigle e siglette, neppure se regolato dal migliore degli statuti o dei regolamenti.
Ciò si ottiene dando vita a un soggetto fatto di persone e personalità di diverse provenienze e ispirazioni, uniti da comuni valori e non rappresentanti di questo o quel partitino o partituncolo.
Occorre insomma un inequivocabile passo indietro delle forze che hanno dato vita a +Europa, verso la costruzione di un soggetto nuovo, aperto e “quarto” nel quale le stesse forze si sciolgano. Ogni altra via è illusoria.
Le tre forze che hanno dato vita a +Europa sono disposte a questo gesto? Forza Europa certamente si: il nuovo soggetto rappresenterebbe la realizzazione della sua stessa missione; Centro Democratico sarebbe disponibile: lo assicura Tabacci; e i Radicali? Qui la faccenda si complica.
Sono varie le ragioni che ostacolano questa scelta da parte dei Radicali. Vado ad elencarne alcune.
- Si sentono “avanguardia”, i pochi che hanno capito prima e più degli altri, gli “eletti” che, incompresi, hanno una missione da compiere, il sale della terra, pervasi dal gusto della minoranza come garanzia di pensiero innovativo. Credo che normalmente a questo atteggiamento venga attribuito il nome di “settarismo”. Esso rappresenta un ostacolo per un progetto di integrazione.
- Hanno aderito all’idea di +Europa in modo non unitario e non così convinto. La mia esperienza, limitata alla Liguria, mi segnala che la gran parte dei radicali ha avuto un atteggiamento apertamente ostile, altri hanno tenuto un atteggiamento attendista e distaccato, pochissimi hanno concretamente sostenuto la lista. A quanto mi risulta, questo atteggiamento si è riscontrato in molte altre aree. Nonostante ciò, anche quando ostili o distaccati, si sono sentiti “la vera anima” di +Europa (vedi punto precedente). Anche quando la stessa Emma Bonino indicasse la via dello scioglimento in un nuovo soggetto, nascerebbero una pluralità di gruppi e gruppetti contrari. Neanche questo aiuta.
- Tendono ad appropriarsi in modo totalizzante, di battaglie condotte anche da altri e ad attribuirsene il merito in modo esclusivo. La paraculesca formula della “doppia tessera” favorisce questa autoattribuzione esclusiva. Si tratta di un’attitudine che parte da lontano, fin dai tempi della legge sul divorzio, nel lontano 1970. Il divorzio fu certamente agevolato dalla campagna culturale ad opera del Partito Radicale di allora, che era sostanzialmente un movimento di opinione, ma divenne legge grazie all’impegno convinto di un ampio arco di forze che l’ha proposta, votata e difesa, prima nel Parlamento e poi in occasione del referendum indetto da diverse associazioni di ispirazione cattolica. Eppure, nel cosiddetto “immaginario collettivo”, la legge sul divorzio sarebbe esclusivo merito radicale. Non è così raro sentire qualche giovane, informato per sentito dire, alludere alla “legge voluta dal referendum radicale” (???!???). Anche la legge sul testamento biologico è stata certamente agevolata dall’impegno radicale, dalla testimonianza dell’Associazione Luca Coscioni (collegata al mondo radicale) e dalla toccante ed esemplare vicenda che ha visto protagonista Marco Cappato. Anche in questo caso però non va consegnata alla storia l’idea che si tratti di una “legge radicale”: ancora una volta, c’è chi si è “sporcato le mani” in Parlamento, conquistandosi buona parte del merito. L’attitudine radicale ad appropriarsi delle battaglie condotte insieme ad altri, rivendicando il proprio merito esclusivo o comunque speciale, non favorisce la costruzione di un soggetto che integri in modo equilibrato diverse esperienze di pari dignità. Credo si tratti più di smania di protagonismo che non di spirito prevaricatore. Sta di fatto che questa attitudine non aiuterebbe un progetto incentrato sulla condivisione.
- In ultimo, va considerata la qualità dell’odierna dirigenza radicale. Riccardo Magi, segretario dei Radicali Italiani, mi ha sempre ricordato Francesco Rutelli. Un Rutelli di serie B, certo, ma in un particolare tratto, molto simile. Entrambi, anche quando condividono parole e pensieri piuttosto banali, adottano uno sguardo da intellettuale ironico e profondo e il tono, ancorché romanesco, di chi sta per svelare qualcosa di illuminante. Sguardo e tono che il nostro ha voluto utilizzare anche nell’annunciare la sua autocandidatura alla segreteria del Pd. La doppia tessera deve avergli dato alla testa. Preparare la costruzione di un nuovo soggetto politico, candidandosi a dirigerne un altro, non è proprio il miglior viatico.
In considerazione di tutto ciò, troverei stupefacente se i Radicali scegliessero la via dello scioglimento in un nuovo soggetto, ma la realtà, si sa, è fatta apposta per smentire la più fervida fantasia, quindi tutto può essere.
Chi si renderà disponibile a costruire una nuova comunità di persone e personalità, sarà protagonista di un percorso. Chi preferisse scegliere la conferma della propria identità, sarà protagonista di un altro rispettabilissimo percorso e bisognerebbe rapidamente farsene una ragione.
Penso a una “nuova Leopolda” questa volta finalizzata ad affermare e non a rottamare, a costruire un nuovo soggetto e non a trasformare un soggetto già esistente. Gli illusori escamotage di cui sento parlare, volti a sopperire alla mancata unità di intenti e, in fin dei conti, a esercitare un’eccessiva e poco rispettosa pressione su chi tende a privilegiare la propria identità, finirebbero per portare alla sconfitta di tutti e al sicuro fallimento del progetto. Non è così necessario definire uno statuto, è necessario definire una road map che porti alla rapida creazione del nuovo soggetto e poi chiedere semplicemente chi ci sta.