Perché sostengo +Europa

Alle elezioni dell’ormai prossimo quattro marzo, sarò candidato nelle file di +Europa con Emma Bonino. Per l’esattezza sarò candidato alla Camera nel collegio plurinominale  Liguria 2, quello del levante ligure.

Scelgo l’impegno in prima persona perché non mi è mai piaciuto “fischiare dalla tribuna”. Le ragioni per fischiare ci sono, intendiamoci, ci sono eccome, ma fischiare non migliora la qualità della politica. La politica italiana ha bisogno di qualità, su questo non c’è dubbio. Ma quali leve occorre agire per conferire qualità alla politica italiana? Ne propongo alcune, per me fondamentali.

  1. Innanzitutto occorre superare la cultura politica del contro. Si tratta di un ribellismo adolescenziale che scarica su nemici più o meno immaginari ogni responsabilità delle proprie frustrazioni individuali. Si tratta di un atteggiamento culturale fondato sulla ribellione contro il potere di un nemico sfumato (emblematica l’espressione “poteri forti”), dove la negazione prevale sull’affermazione, il no sul si, l’attribuzione di colpe sull’assunzione di responsabilità. Questo atteggiamento politico, per le forme con cui si esprime, può essere considerato come una sorta di fascismo 2.0; esso è capace di attrarre una moltitudine di individui. Il fascismo 2.0 ha in soggetti come Travaglio i suoi intellettuali di riferimento, in personaggi come Maurizio Crozza (strano, ma vero) i suoi megafoni televisivi, in leader come Matteo Salvini e Luigi Di Maio i suoi riferimenti politici, in rappresentanti della sinistra arcaica come Pierluigi Bersani i suoi fiancheggiatori, in Beppe Grillo il suo indiscusso profeta, un profeta capace di reinterpretare il “me ne frego” delle squadracce degli anni venti, grazie a quel suo “vaffanculo” che anima un illusorio e infantile spirito di rivalsa sociale. Occorre affermare la “cultura del per”.
  2. Un’altra retorica da sconfiggere riguarda l’illusione della cosiddetta “democrazia diretta”, secondo la quale i governanti dovrebbero eseguire quello che dice il popolo, la gente, e secondo la quale il Parlamento dovrebbe essere costituito da “onesti cittadini” indicati dal basso, pazienza se magari non hanno competenze o visione politica, l’importante è che ubbidiscano al capo, pena una multa, come nell’ultima scellerata proposta pentastellata. Tutti i regimi totalitari trovano nella “piazza” il loro terreno più favorevole. In piazza si indicano i nemici, proposti come unici e veri responsabili del malessere di ciascuno e contro di essi si aizza la folla. Quando comanda la piazza, in realtà comanda il dittatore che la usa. Il web ha proposto con inaudita potenza la piazza virtuale, i social network. Nella piazza virtuale cade ogni barriera e sembra venire meno anche quel minimo pudore che la piazza reale ancora richiede. Si urla, si insulta, si condanna, si ridicolizzano i nemici magari facendo riferimento alle loro caratteristiche fisiche (abitudine squisitamente fascista). Quando comandasse la piazza virtuale, si sarebbe finalmente realizzato il sogno della democrazia diretta? Ne dubito molto, semplicemente si utilizzerebbe il social network al posto del megafono, ma la piazza resterebbe piazza, con tutte le sue perversioni. Per saperne di più, suggerisco di rileggersi le memorabili parole che sul tema spende Alessandro Manzoni ne I promessi sposi: è una massa amorfa, senz’anima, mossa dall’istinto della conservazione; è una cosa. Non è capace di compiere scelte razionali; è capace solo di atti violenti, vogliosa di sangue, è meschina e non conosce valori nobili. Occorre oggi più che mai promuovere il valore della politica come mediazione ed élite riconosciuta.
  3. Il terzo asse, fondamentale, riguarda il superamento del paradigma politico fondato sullo schema destra/sinistra. Non che il confronto tra destra e sinistra non esista più, semplicemente è diventato ampiamente secondario. Occorre immaginare un nuovo paradigma che ci aiuti a leggere la realtà al di là dei vecchi steccati, delle facili etichette, di consunti stereotipi. Un nuovo paradigma che promuova una totale riconfigurazione delle collocazioni politiche. Esso può essere rappresentato come confronto tra chi si chiude e chi al contrario apre, tra chi esclude e chi al contrario include, tra chi ferma e chi invece afferma. Mi piace rappresentare il nuovo paradigma come confronto tra chi indica nemici e chi, invece, indica soluzioni.
  4. Il quarto asse riguarda l’atteggiamento degli elettori. Il marketing moderno derivato dalla nuova epoca, annovera una nuova espressione: consumatore ibrido. Oggi infatti molti consumatori tendono a superare le abitudini consolidate: lo stesso consumatore può oggi acquistare in una boutique e domani al mercatino. Il consumatore ibrido mal sopporta di essere ingabbiato ed etichettato, collegato stabilmente a un marchio o a un’abitudine di acquisto: cambia, innova e soprattutto sperimenta. Allo stesso modo, oggi gli elettori sono più volubili, possiamo quindi parlare di “elettori ibridi”. Esiste una quota di elettori ibridi, ad esempio quelli che alle passate elezioni europee hanno premiato Renzi, ma poi, probabilmente infastiditi dal continuo richiamo di Renzi a quanto fossero “di sinistra” le misure del suo governo, si sono allontanati. Si tratta di elettori che amano sperimentare e che amano per nulla l’appartenenza. Puntare sulle soluzioni e non sull’appartenenza a “cartelli contro” è il modo migliore per rivolgersi a questo genere di elettori e, in fondo, a tutti gli elettori.
  5. La quinta leva riguarda un’altra retorica da sfatare, quella del cosiddetto buonismo. Lo sappiamo bene, assumersi la piena responsabilità dei propri mancati successi, è roba difficile. Lo è in ogni ambito: famigliare, professionale, economico, sociale. Così, per alleviare il senso di frustrazione, si ricorre a un nemico su cui scaricare ogni responsabilità. A livello collettivo, i nemici possono essere di volta in volta la Merkel, l’Unione Europea, l’euro, i poteri forti e chi più ne ha, più ne metta. Un tempo fu di moda indicare gli ebrei come nemici sui quali scaricare ogni colpa, oggi si preferisce indicare gli “africani”, si, quelli che ci invadono, distruggono la nostra identità, violentano le nostre donne. Chi prova a indicare dati oggettivi che smentiscono categoricamente “l’invasione”, chi, dati alla mano, evidenzia il formidabile contributo che gli immigrati forniscono ai nostri conti, chi si permette di ricordare come la libera circolazione delle merci e delle persone sia principio fondamentale di liberalità, chi si impegna nell’integrare e non nel ghettizzare, è apostrofato con l’epiteto di “buonista”, odioso neologismo volto a perpetrare la cultura del contro e del nemico. Occorre affermarlo con fierezza: sono un buonista e me ne vanto.
  6. La sesta leva riguarda la retorica dell’onestà. La nostra società ha più che mai bisogno di politici capaci, non di politici che rinunciano al loro stipendio. Devolvere parte del proprio stipendio è semmai una scelta privata che non va sbandierata. Il farsene belli toglie ogni valore al gesto, di per sé lodevole. L’autocertificazione di onestà, anche quando espressa in stile da stadio (o-ne-stà), non qualifica di per se al governo di una città e, men che meno, del Paese. Chiunque di noi dovesse subire un intervento chirurgico, si rivolgerebbe a un chirurgo competente e capace; chi dovesse costruire un ponte, si rivolgerebbe a un ingegnere competente e capace. Allo stesso modo, abbiamo bisogno di politici competenti e capaci. Che poi tanto il chirurgo quanto l’ingegnere e il politico debbano osservare le leggi, come si dice, ça va sans dire. Su ciò vigila fortunatamente la Magistratura; la competenza e la capacità sono invece troppo spesso sottovalutate. La qualità della politica si promuove con la dimostrazione di competenza e di senso della visione, non con la dichiarazione di onestà; con il coraggio della proposta, non col vaffanculo. Così come un chirurgo o un ingegnere che svolgessero la loro attività senza le necessarie competenze, sarebbero considerati i più disonesti dei disonesti, allo stesso modo il politico privo di competenze e visione è il politico più disonesto.
  7. La settima leva riguarda aspetti valoriali: anche il più apprezzabile pragmatismo (non è così importante il colore del gatto, l’importante è che mangi il topo), senza un impianto ideale perde visione e direzione. La visione intorno alla quale costruire un’area liberal-democratica deve incentrarsi su tre valori: la promozione della responsabilità individuale, la ricerca della pace, la visione della “cittadinanza planetaria”. Laggiù, in basso c’è la terra, un pianeta bianco-azzurro bellissimo, splendente: la nostra patria umana! Dalla luna lo tengo tutto sul palmo della mano. E da questa prospettiva non ci sono divisioni… formiamo tutti un unica Terra. Con queste commoventi parole, l’astronauta americano John W. Young descriveva il pianeta Terra per come lo poteva vedere dopo lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 16 nell’aprile del 1972. Esse rappresentano bene lo spirito della cittadinanza planetaria: la nostra patria umana. Oggi, in un mondo sempre più globalizzato, un programma politico degno di questo nome non può essere circoscritto ai confini nazionali. Occorre guardare all’Italia come parte dell’Unione Europea, all’Unione Europea come parte del mondo e a ciascuno di noi come abitanti di un pianeta che va rispettato allo stesso modo in cui ciascuno rispetta la propria casa, anzi la propria famiglia. In questo senso, la costruzione degli Stati Uniti d’Europa rappresenta un viatico potentissimo. Pensiamo all’Italia di fine ottocento: un coacervo di ex-staterelli con tradizioni e lingue (dialetti) diverse. Grazie a una serie di iniziative, ma fondamentalmente al servizio militare, alla scuola pubblica e, successivamente, alla televisione, le genti italiane hanno finito per capirsi e sentirsi popolo. Senza una lingua non c’è un popolo: occorre dare un’unica lingua all’Unione Europea, anche quando ciò comportasse un periodo di interregno bilinguistico nei diversi paesi. Dopo aver costituito l’Unione Europea, occorre oggi costruire il Popolo Europeo. L’orgoglio di un popolo deriva anche dalla consapevolezza della sua storia e della sua cultura. Certo che l’Italia ha una grande storia e una grande cultura, ma pensiamo alla storia e alla cultura europea: oltre a Dante c’è Baudelaire, oltre a Verdi c’è Beethoven, oltre a Ligabue c’è Picasso, oltre a Luigi Pirandello c’è Victor Hugo, oltre alla canzone napoletana c’è la canzone d’autore francese. Occorre mettere mano a una serie di iniziative affinché i cittadini europei si sentano figli di una cultura comune: nelle scuole italiane, ad esempio, non andrebbe insegnata tanto la storia d’Italia, quanto invece la storia d’Europa. Piaccia o no, un popolo, per sentirsi popolo, ha bisogno di simboli. L’Inno alla gioia, movimento finale della nona sinfonia composta nel 1823 da Ludwig van Beethoven è un inno bellissimo. Quando da bambino frequentavo la scuola elementare, cantavo l’Inno di Mameli tutte le mattine. Bisogna riprendere l’abitudine, ma con l’Inno alla gioia. La stessa cosa vale per la bandiera europea. Per riconoscersi nella bandiera europea, non basta la sua esposizione negli edifici istituzionali e pubblici, cosa per altro sacrosanta, occorre riconoscersi nella bandiera in contesti emozionanti e unificanti. Il processo di integrazione europea avrà un impulso straordinario quando alle Olimpiadi si presenterà la squadra degli Stati Uniti d’Europa. Infine, occorre naturalmente conferire maggior potere legislativo al Parlamento Europeo e maggior potere esecutivo al “governo”, specie su alcuni “ministeri”, a partire da quello degli Esteri e della Difesa, così come occorre lavorare per avere un unico rappresentante all’ONU e un unico comando delle Forze Armate. Un sogno? Beh, la differenza fra un sogno e un obiettivo in fondo in fondo è nell’indicazione di una data e una data c’è, l’ha indicata il socialdemocratico Martin Schulz: il 2025. Giuseppe Garibaldi é soprattutto famoso per aver pronunciato due frasi: Obbedisco e O si fa l’Italia o si muore. Allo stesso modo, gli Innovatori di oggi devono saper coniugare il riconoscimento dell’autorità superiore europea con un formidabile impegno per portare a termine il progetto dell’Unione Europea secondo il suo spirito originario: O si fa l’Europa o si muore! Quando un cittadino italiano o spagnolo o tedesco o francese, in visita all’estero, ad esempio negli USA, alla domanda “da dove vieni?” risponderà “dagli Stati Uniti d’Europa”, quella sarà la dimostrazione che il processo di integrazione europea sarà stato portato a termine.

Cultura del per, valore della politica, cultura della soluzione, intento di rivolgersi a tutti gli elettori, orientamento ai buoni sentimenti e ai sani principi, valorizzazione della competenza e visione europea. Sono queste la ragioni che ritrovo in +Europa e che rappresentano i fondamenti del mio impegno.

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