Il rapporto del CENSIS ruota intorno a queste due parole: ripresa e rancore. La ripresa c’è, ma il rancore non si placa.
Sui social è partita la litania giustificazionista: il rancore è generato dall’ingiustizia sociale, si dice. Insomma, sembrerebbe che i rancorosi lotterebbero contro le ingiustizie.
No, i rancorosi hanno solo paura, paura di impoverirsi, paura di regredire nel posizionamento sociale. E allora cercano risposte, ma non le trovano, e finiscono così per cercare nemici su cui scaricare ogni colpa, nemici da indicare al pubblico odio. Così nasce la società del rancore.
Il nemico è indicato ora negli stranieri, ora in Renzi, ora nell’Euro, ora nei “ricchi”, ora nei poteri forti (?), ora nei “politici”. L’importante è odiare, qualcuno o qualcosa su cui concentrare l’odio, si trova facilmente.
Cent’anni fa, in un periodo di incertezze in fondo simile a quello attuale, furono indicati come nemici da odiare, i politici, i banchieri e gli ebrei. Oggi agli ebrei sono preferiti gli stranieri, sempre più spesso indicati come “africani”, ma la sostanza non cambia molto.
In un mio libro, Il tempo della leadership, scrivo che il senso di stanchezza non deriva dai chilometri che si hanno alle spalle, ma dalla nebbia che si ha di fronte. Credo proprio che sia così: il principale fattore di rancore non è lo stato delle cose (in fondo siamo in ripresa), ma la mancanza di prospettiva.
Il rancore può anche avere delle ragioni, può anche avere delle giustificazioni, ma in ogni caso porta nulla di buono. I seminatori d’odio hanno gioco facile, il rancore è una malattia contagiosa che diventa valanga. Chi propone un altro atteggiamento, è indicato alla piazza come “buonista” e viene subito aggiunto ai nemici da odiare.
Occorre promuovere con forza un atteggiamento diverso. Per fare ciò, è necessario mettere a fuoco come il rancore sia necessariamente “contro”: occorre promuovere la cultura del “per”. È dunque imprescindibile indicare una prospettiva sostenibile e accrescitiva. Solo così si può sconfiggere il rancore. La prospettiva non può che appartenere a un piano più alto e avanzato. Occorre indicare una sfida di emancipazione e cambiamento. Occorre alzare il tiro.
L’unica prospettiva realistica di emancipazione e cambiamento è oggi rappresentata dalla prospettiva europea. Essa rappresenta lo spartiacque tra cultura del per e cultura del contro, tra possibili soluzioni e nemici da odiare, tra progresso e regressione, tra sentimenti positivi e pulsioni istintuali, tra coraggio e paura.
Certo, è difficile essere ottimisti: il mai sopito “sentiment” fascistoide di gran parte della popolazione italiana è oggi ampiamente sdoganato. I Cinquestelle, principali promotori della cultura del rancore, si sono caricati di un’immensa responsabilità storica. Mala tempora currunt.
Gli innovatori, i portatori della cultura del per, possono assolvere al loro compito storico solo trovando il coraggio di guardare all’Unione Europea come all’unico orizzonte possibile e indicando nel suo rafforzamento l’unica realistica proposta politica che possa darci una prospettiva di emancipazione, democrazia e sviluppo.