Stare o non stare nell’Unione Europea?
Il tema viene spesso trattato a botte di “ci conviene o non ci conviene?”; altre volte il tema si tratta invece con rassegnati “si può o non si può?”. I vari Salvini e Di Maio sbraitano contro l’Unione Europea, dichiarano di voler uscire, propongono referendum, poi, in vista delle elezioni, ritrattano, poi risbraitano. Il Berlusca cerca di tenere insieme i liberali di Forza Italia coi populisti della Lega e parla di doppia moneta. Renzi, vestendo panni che non gli stanno mica bene e inventandosi uno dei suoi giochetti di parole (mi hanno sinceramente un po’ rotto), dice “Europa si, ma non così”.
Stare nell’Unione Europea è una scelta che va al di là della convenienza e degli obblighi. Si tratta di una scelta con valore storico e planetario, non contingente e utilitaristico.
L’Unione Europea rappresenta una storica conquista. Ancorché ci si sprechi nel sottolineare la parzialità dell’integrazione e la sua valenza burocratica e tutta finanziaria, la realizzazione dell’Unione Europea rappresenta un risultato storico straordinario in senso anche politico e culturale. Solo vent’anni fa, sarebbe stato utopistico pensare a un’Europa senza passaporti, senza dogane alle frontiere, con una sola moneta. Gli unici che nel mondo non si rendono ancora pienamente conto della portata di questo primo passo in questo grandissimo processo storico, siamo proprio noi europei.
Gli Innovatori possono lavorare per la pace favorendo altri passi in direzione dell’integrazione europea. Occorre darsi l’obiettivo di far si che ogni cittadino italiano (e in generale europeo) senta l’orgoglio di definirsi “europeo”.
Quando un cittadino italiano in visita all’estero, ad esempio negli USA, alla domanda “da dove vieni?” risponderà “dall’Unione Europea”, quella sarà la dimostrazione che il processo di integrazione europea sarà stato portato a termine.
Per raggiungere questo risultato occorre agire su più fronti, ovviamente non basta quello economico.
Pensiamo all’Italia di fine ottocento: un coacervo di ex-staterelli con tradizioni e lingue (dialetti) diverse. Grazie a una serie di iniziative, ma fondamentalmente al servizio militare, alla scuola pubblica e, successivamente, alla televisione, le genti italiane hanno finito per capirsi e sentirsi popolo. Senza una lingua non c’è un popolo: occorre dare un’unica lingua all’Unione Europea, anche quando ciò comportasse un periodo di interregno bilinguistico nei diversi paesi.
Dopo aver costituito l’Unione Europea, occorre oggi costruire il Popolo Europeo.
L’orgoglio di un popolo deriva anche dalla consapevolezza della sua storia e della sua cultura. Certo che l’Italia ha una grande storia e una grande cultura, ma pensiamo alla storia e alla cultura europea: oltre a Dante c’è Shakespeare, oltre a Verdi c’è Beethoven, oltre a Ligabue c’è Picasso, oltre a Luigi Pirandello c’è Victor Hugo, oltre alla canzone napoletana ci sono il rock inglese e la canzone d’autore francese. Occorre mettere mano a una serie di iniziative affinché i cittadini europei si sentano figli di una cultura comune: nelle scuole italiane, ad esempio, non andrebbe insegnata tanto la storia d’Italia, quanto invece la storia d’Europa.
Piaccia o no, un popolo, per sentirsi popolo, ha bisogno di simboli. Mi piacerebbe fare un’indagine per misurare la percentuale di cittadini italiani che conoscono l’inno europeo, che ne conoscono l’autore, che saprebbero canticchiarlo. Temo che il risultato sarebbe desolante. Peccato, l’Inno alla gioia, movimento finale della nona sinfonia composta nel 1823 da Ludwig van Beethoven è un inno bellissimo. La stessa cosa vale per la bandiera europea: quante stelle ha? Qualcuno forse non ricorda neppure il colore dello sfondo. Quando da bambino frequentavo la scuola elementare, cantavo l’Inno di Mameli tutte le mattine. Bisogna riprendere l’abitudine, ma con l’Inno alla gioia.
Per riconoscersi nella bandiera europea, non basta la sua esposizione negli edifici istituzionali e pubblici, cosa per altro sacrosanta, occorre riconoscersi nella bandiera in contesti emozionanti e unificanti. Il processo di integrazione europea avrà un impulso straordinario quando ai campionati mondiali di calcio si presenterà la squadra dell’Unione Europea e altrettanto accadrà alle Olimpiadi.
Infine, occorre naturalmente conferire maggior potere legislativo al Parlamento Europeo e maggior potere esecutivo al “governo”, specie su alcuni “ministeri”, a partire da quello degli Esteri e della Difesa, così come occorre lavorare per avere un unico rappresentante all’ONU e un unico comando delle Forze Armate.
Un sogno? Beh, la differenza fra un sogno e un obiettivo in fondo in fondo è nell’indicazione di una data.
Giuseppe Garibaldi é famoso per due frasi: Obbedisco e O si fa l’Italia o si muore. Allo stesso modo, gli Innovatori devono saper coniugare il riconoscimento delle autorità superiori europee con un formidabile impegno per portare a termine il progetto dell’Unione Europea secondo il suo spirito originario: O si fa l’Europa o si muore!
Nel mondo c’è chi separa e chi integra: gli Innovatori sono per l’integrazione.
Gli Innovatori italiani devono lavorare affinché l’Italia diventi la locomotiva politica dell’Unione Europea e affinché gli italiani e in generale gli europei, si rendano conto di essere la più grande economia mondiale: la sommatoria del PIL dei Paesi membri dell’Unione Europea, supera quello dei cinquanta stati nordamericani.
Questo obiettivo rappresenta il principale orizzonte che gli Innovatori sono chiamati a perseguire sul tema della pace perché solo la progressiva integrazione fra Paesi diversi in coerenza con un comune spirito planetario, può favorire una pace stabile.